Se una sera d’estate un bambino

/ 12.08.2019
di Paolo Di Stefano

Ho visto (e sentito) cose che voi umani… potete benissimo immaginarvi. La famosa frase di Blade Runner merita di essere capovolta. Abbiamo visto cose che fino a pochi anni fa solo degli extraterrestri avrebbero potuto vedere e a cui oggi assistiamo senza fare una piega, con l’indifferenza che suscitano le cose abituali. 

Scena prima. In una bellissima sera stellata su una spiaggia siciliana, seduti a un tavolino da ristorante, con le onde del mare che vanno e vengono dolcemente una ventina di metri più avanti, due genitori sulla trentina e un bambino sui due anni aspettano la cena. Lui e lei sorseggiano un cocktail, mentre il bimbo è concentrato a giocare con un videogame sul telefonino liberando insistenti e regolari impulsi sonori. Quando arriva il piatto del piccolo, la mamma, con le braccia nude tappezzate di fantasiosi tatuaggi che si inoltrano lungo la schiena e le vanno a coprire il collo fino alla nuca, prende a imboccarlo senza minimamente riuscire a scalfire la sua occupazione. Il bambino mangia e gioca senza soluzione di continuità tra le due cose, nulla gli interessa della magnifica cornice crepuscolare, nulla del gusto del cibo che ingurgita quasi senza accorgersene, nulla del disturbo che arreca agli orecchi degli altri ospiti del ristorante: né i genitori (1) si pongono domande su quella scena che una volta si sarebbe definita grottesca o sulla passività emotiva e cognitiva del loro pargolo.

Scena seconda. Aeroporto di Malpensa. In attesa per l’imbarco, un bambino che potrebbe essere il fratellino minore del primo comincia a piangere, seduto sul passeggino. Forse è stanco della lunga coda, penso: invece no. Il padre ha dovuto sottrargli il cellulare per rispondere a una chiamata privandolo della possibilità di scorrere  la galleria delle fotografie sullo schermo. Suo padre accelera la chiacchierata per restituire il più presto possibile l’apparecchio al figlioletto che è ormai in preda a un attacco di nervi. Finché il genitore, in un lampo di superiore intelligenza (-1), decide di mettere il vivavoce in modo da potere, mentre parla, permettere al bimbo di scorrere lo schermo e così rasserenarsi. Infatti riprende a sorridere muovendo il suo agile ditino. 

Scena terza. Si va a fare un giro in barca tra Marzamemi e Portopalo per un’escursione organizzata dall’agenzia «Sapore di mare» e annunciata come una gita nel mare «caraibico» siciliano. Siamo una dozzina su un’imbarcazione non nuova e nemmeno troppo vecchia, con tre giovani gentili dello staff che illustrano le bellezze naturalistiche della zona.

A parte qualche preoccupante défaillance ortografica («pomerigio» con una sola g, «spazzi» con due zeta, un «cosi» senza accento), il pieghevole bilingue italiano-inglese era promettente, ma l’escursione lascia alquanto a desiderare per varie ragioni: il giro non è quello previsto sulla carta e la musica a palla non concede un attimo di quiete, sicché lo specchio di mare «caraibico» si trasforma in una sorta di pedana da discoteca con tuffi sguaiati e sculettamenti, sigarette fumate a raffica e cicche gettate nell’acqua senza ritegno. La parola «inquinamento» acustico e materiale non deve mai essere entrata nel cervello di questi turisti internazionali che sembrano adolescenti in libera uscita serale e che invece sono cinquantenni, uomini e donne (voto: 2+2), per lo più con pance imponenti rigonfie di birra.

D’altra parte, in questo agosto 2019, le scene prima, seconda e terza diventano (quasi) nulla se confrontate con certi scivolamenti nella trivialità sboccata e aggressiva da parte di personaggi pubblici che, si diceva una volta, sono quelli che dovrebbero dare l’esempio: come i genitori e i maestri. Prendiamo il turpiloquio. Diventato, annota il «Financial Times», uno strumento utile per fare carriera. Lo dimostrerebbero alcune recenti ricerche sociologiche: chi si esprime come un camionista (poveri camionisti – 5+ di solidarietà – probabilmente hanno un linguaggio più forbito di un professore universitario, ma restano le vittime del luogo comune…) risulta più «onesto, credibile e convincente» di chi si esprime con toni e parole educate.

Le volgarità di Boris Johnson e quelle di Donald Trump fanno crescere il loro consenso, così come le uscite triviali di Salvini? Bene, il linguaggio vincente della politica pare che faccia scuola anche nel mondo bancario, dove secondo un sondaggio della Stanford University l’improperio e la scurrilità aiutano a scalare gli organigrammi, per simpatici «brainstorming» sempre più ricchi di imprecazioni maschiliste e di riferimenti scatologici. Il «brainstorming» è una riunione aziendale, dicono che derivi dalle «quaestiones disputatae» in auge nelle università medievali: ma se letteralmente significa «tempesta di cervelli» diventa sempre più una tempesta di rutti e altri borborigmi di provenienza molto intestinale e pochissimo mentale.