L’angoscia da cui sono abitati molti cittadini europei non allineati con le posizioni montanti cosiddette «sovraniste» è tutt’altro che ingiustificata, nonostante i ripetuti tentativi di minimizzare. Nuovo fascismo? Macché. Razzismo? Non scherziamo. Limitandosi al caso italiano, basterebbe un po’ di cronologia per avvertire la serietà dell’allarme. La cronologia del razzismo ha conosciuto, negli ultimi cinque anni, tappe di inequivocabile aggressività verbale cadute ormai nell’oblio. Elencarle anche senza commento fa impressione.
Giugno 2013. Dolores Valandro, ex consigliera di un quartiere di Padova in un post su Facebook, riferendosi alla ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge, aveva scritto: «mai nessuno che se la stupri...». Una frase «detta in un momento di rabbia» si difese la Valandro. Il 13 luglio 2013. Roberto Calderoli, allora vice presidente del Senato, disse queste testuali parole sempre alludendo alla stessa Kyenge: «Io sono anche un amante degli animali per l’amore del cielo, amo gli animali, com’è noto, orsi e lupi, le scimmie e tutto il resto. Però quando vedo uscire delle sembianze di un orango, resto ancora sconvolto». Saltato fuori il polverone del momento, Calderoli precisò che non voleva certo offendere, si trattava solo di «una battuta di simpatia, niente di particolare».
Gennaio 2015. A Parma il consigliere regionale Fabio Rainieri, vicepresidente dell’assemblea legislativa emiliano-romagnola, pubblicò su Facebook una foto della stessa ministra Kyenge ritoccata in modo da farla apparire una scimmia. Questo tipo di dichiarazioni, che nell’occasione si erano concentrate sul colore della pelle di una ministra, ha una lunga storia che sul «Corriere della Sera» Gianantonio Stella ha ben illustrato con numerosi esempi a partire dalle parole violente di Umberto Bossi e dell’ideologo Gianfranco Miglio, che un giorno si mostrò perplesso di fronte a certi concittadini troppo «buonisti»: «C’è chi sostiene che per non esser razzisti bisognerebbe anche abbracciare le scimmie». «L’Ulivo ha cessato di imbastardire il nostro sangue infettandolo con quello degli extracomunitari», fece notare l’europarlamentare Mario Borghezio, aggiungendo: «Le negre le ho provate quando sono stato in Africa, nello Zaire. Le katanghesi? Prodotto notevole. Mica come le bruttone nigeriane che battono da noi».
L’ex consigliere comunale di Treviso Giorgio Bettio ha usato registri non troppo dissimili: «Rassista mi? Si figuri. Me la sono fatta con donne di tutti i colori. Anche con una gialla. E una nera. Quelli che non sopporto sono i delinquenti, i ladri, i travestiti, i finocchi, gli spacciatori. Già non li sopporto quando sono bianchi, si figuri negri». E ancora: «Occorre usare con gli immigrati lo stesso metodo delle SS: punirne dieci per ogni torto a un nostro cittadino».
Già nel 2002 il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini tuonava: «La nostra civiltà è superiore a quella del deserto (...). Gli immigrati annacquano la nostra civiltà, gli stranieri rovinano la razza Piave», dunque per rimpatriarli, aggiunse, «sono disposto a tornare ai vagoni piombati».
«Cosa fare degli immigrati? Peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto», esclamò l’allora senatore Piergiorgio Stiffoni, espulso poi dal Carroccio ma «solo» per una questione di ammanchi di cassa.
Last but not least, Attilio Fontana, candidato per la presidenza della Regione Lombardia in piena campagna elettorale, nel gennaio scorso, pronunciò questo discorso: «Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società devono continuare a esistere o se la nostra società deve essere cancellata». Difesa della razza (bianca). Di fronte alle reazioni, il candidato governatore si scusò riconoscendo le sue frasi «inopportune», un «lapsus», infine sottolineò che comunque quell’espressione gli aveva fatto guadagnare consensi. Si potrebbe continuare, ma lo spazio non consente di completare la lista delle violenze verbali pronunciate da politici («imprenditori della paura») con il sorriso sulle labbra e le conseguenti fiacchissime scuse formali.
Gli «imprenditori della paura» hanno fatto crollare la diga morale che impediva di pronunciare certe sconcezze vergognose. Autorizzando chiunque e ripeterle. Nei giorni delle offese alla ministra Kyenge, i lettori commentavano: «Questa negra diventa sempre più insopportabile»; «Che gnocca!!! Ma non le hanno ancora proposto di fare un calendario?»; «Negra ex clandestina…»; «Chienge, ma quante banane al giorno ci costa?»; «Ma come si permette questa beduina?». Se questo non è razzismo, come possiamo chiamarlo? In più, di recente qualcuno ha deciso di passare alle vie di fatto. Per chi non volesse minimizzare, consiglio alcuni libri sull’argomento (voto complessivo 6 di solidarietà): Luigi Manconi e Federica Resta, Non sono razzista, ma (Feltrinelli); Ezio Mauro, L’uomo bianco (Feltrinelli); Contro il razzismo. Quattro ragionamenti, a cura di Marco Aime (Einaudi); Stefano Allievi e Gianpiero Della Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione (Laterza); Stefano Allievi, 5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare) (Laterza, 3 euro ben spesi)