Tra i tanti resoconti di fine anno c’erano due notizie che riguardavano servizi informatici e comunicazione. La prima era di casa nostra: nell’ultimo mese, cioè fino a poco prima di Natale, la Posta svizzera ha recapitato oltre 18,6 milioni di pacchi. La seconda invece concerneva il traffico che ogni giorno transita gratuitamente sul web, in particolare i messaggi su WhatsApp o analoghi strumenti di messaggeria digitale: rilanciata poi da tantissimi media soprattutto online, la notizia comunicava che il 31 dicembre scorso sono stati inviati 100 miliardi di messaggi, un quinto dei quali comprendenti anche immagini o video. A dire il vero, l’informatica c’entrava anche con la prima notizia. Come spiegava il comunicato de La Posta, i fattori trainanti dell’aumento dell’8,8% di pacchi spediti e recapitati erano stati da un lato le giornate di sconti del Black Friday e del Cyber Monday, dall’altro l’ulteriore aumento del volume di invii nel periodo prenatalizio. Quindi il nuovo primato suona a conferma che anche in Svizzera sempre più persone fanno acquisti online.
Ad attenuare il tono trionfalistico di questo nuovo primato, è giunta la «Rivista Studio» – una delle più fruibili e attendibili pubblicazioni online della vicina Repubblica – che una settimana prima di Natale si è sentita in dovere di sensibilizzare i consumatori con un servizio sulle facce nascoste del debordante fenomeno delle compere online. Alla maggior parte di chi fa acquisti online sfugge o non importa che dietro alla comodità e all’inappuntabilità di servizi celeri, garantiti in tutto il mondo da algoritmi e consegne a domicilio, si celano anche macroscopici aspetti decisamente meno positivi. Secondo l’articolo citato – basato su dati elaborati da Optoro, azienda che lavora per ridurre e riutilizzare gli scarti di produzione – solo negli Stati Uniti i resi riconducibili al commercio online creano ogni anno rifiuti che finiscono in discariche causando più di 15 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio, «in pratica l’equivalente dei rifiuti prodotti in un anno da 5 milioni di persone». In Europa, invece, nel 2016 – ultimi dati Ue disponibili ma largamente superati negli ultimi anni di forte crescita delle vendite su Internet – i rifiuti da imballaggio avevano raggiunto la cifra record di circa 170 kg a persona. Questo perché, per spedire i propri prodotti, la maggior parte dei marchi fa affidamento anche su materiali plastici monouso, che sono poi i più difficili, se non impossibili, da riciclare. A completare il quadro dei problemi e dei primati negativi delle vendite online ci sono poi anche le condizioni lavorative spesso problematiche, come di tanto in tanto i media scoprono, nei vari immensi centri di spedizione e smistamento (sono ormai numerosi anche in Europa) gestiti seguendo algoritmi e robot.
Lasciamo il commercio online per gettare uno sguardo sui mirabolanti 100 miliardi di messaggi dell’ultimo dell’anno. Dati inconfutabili? Tutto lascia credere che la cifra sia attendibile, soprattutto tenendo conto che nella notizia viene anche precisato come un quinto di questa galassia di messaggi siano stati spediti e ricevuti nella sola India (chi ama fare calcoli non dimentichi i suoi 1335 milioni di abitanti). Resta però un mistero, almeno per chi scrive, come sia possibile arrivare a questi dati dal momento che il traffico del web, essendo gratuito, non consente riscontri tariffari o di altro genere. È quindi possibile che i 100 miliardi derivino da calcolo empirici, se non proprio a spanne come si diceva un tempo (se volete proseguire le verifiche consiglio il sito www.internetlivestats.com che vi mostrerà un pannello da cui è possibile seguire l’andamento della rivoluzione digitale e immaginare il parallelo declino della tecnologia meccanica ed analogica). Cionondimeno la cifra è impressionante e stimola diverse riflessioni legate non solo alle tecnologie. Ad esempio rimanda al motto «Verba volant, scripta manent», pronunciato oltre duemila anni fa nel Senato dell’antica Roma. Ricordo un collega de «Il Sole 24 Ore» che dieci anni fa proponeva un più aggiornato «Email Volant, Verba Manent», ma ora la rivoluzione digitale ha quasi capovolto il senso del millenario detto latino. Comunque, più degli «scripta volant», a preoccupare sono le reiterate manovre di governi, sicurezze nazionali e comandi militari per controllare questo flusso mediatico erigendo muri (divieti) e ostacoli (controlli) minacciando le libertà sinora garantite a tutta la galassia Internet.
Ne è allarmato anche Mark Zuckerberg che da qualche settimana scalpita chiedendo regole di base (che tutti i governi dovranno accettare e rispettare) in modo da garantire continuità alla rivoluzione dei motori di ricerca e dei social media. Gli esperti temono però che questo suo interesse, più che a difendere libertà e gratuità del web, sia uno stratagemma per favorire lo «statu quo», vale a dire la superiorità tecnologica dei giganti della Silicon Valley.