Sconfitte passeggere o qualcosa di più?

/ 08.04.2019
di Peter Schiesser

All’indomani delle elezioni cantonali di Lucerna e Basilea Campagna, precedute dalle cantonali di Zurigo, la situazione è chiara: l’Unione democratica di centro è in crisi. Lo riconoscono anche personalità di spicco del partito. Quando si scende dal 30 al 25 per cento (circa) in un colpo in tre cantoni, è più che logico interrogarsi sulle possibili cause e suonare il campanello d’allarme. Perché, anche se l’UDC resta il principale partito in Svizzera e in numerosi cantoni, simpatizzanti e avversari una domanda se la pongono: è cominciato il declino del partito politico che negli ultimi 30-40 anni più di altri ha determinato la politica nazionale e i nostri rapporti con il resto dell’Europa?

All’indomani delle elezioni a Zurigo, vista la consistente crescita di Verdi e Verdi liberali, si è posto l’accento soprattutto sul tema «clima». E le elezioni a Lucerna e Basilea Campagna hanno rafforzato questa ipotesi, avendo premiato anch’esse i partiti ecologisti. Tuttavia, non basta la rilevanza di questo tema a spiegare interamente la crisi in cui è scivolato il partito di Blocher. Innanzitutto, perché non c’è o è molto lieve il travaso di voti dall’UDC ai Verdi o Verdi liberali, quindi se gli uni guadagnano percentuali di voto e seggi e gli altri ne perdono è perché i primi riescono a mobilitare più dei secondi il proprio elettorato di riferimento (ricordo che in tutt’e tre i cantoni citati la partecipazione al voto è stata fra il 33 e il 40 per cento, quindi ogni voto pesava di più). E questa è una notizia negativa per un partito che della capacità di mobilitare e di saper parlare alla gente ha fatto la sua caratteristica. Seconda notizia negativa, che deriva dalla prima: se i propri elettori non sono andati a votare, vuol dire che l’UDC non ha saputo determinare il dibattito pubblico, ciò in cui da decenni è maestra; questa volta l’insistenza sui temi Europa, stranieri, rifugiati, libertà, autodeterminazione, non ha scaldato gli animi, il tema principe – i cambiamenti climatici, anche in Svizzera – era un altro, e chi dirigeva il coro qualcun altro.

La reazione del capo supremo, Christoph Blocher, è stata rapidissima, forse troppo. A riprova che pur senza cariche istituzionali la sua parola continua a dettare legge, è bastato un suo intervento al comitato cantonale all’indomani delle elezioni zurighesi per spingere alle dimissioni collettive l’intero ufficio presidenziale dell’UDC zurighese. Al posto del moderato Konrad Langhart è stato eletto il giovane e semi-sconosciuto Patrick Walder, soldato di partito di solida fede blocheriana, affiancato da qualche vice-presidente con maggiore esperienza politica. I pesi massimi del partito zurighese hanno declinato, e già questo dimostra che questa volta la risposta di Blocher è stata un po’ troppo rapida. E troppo frettolosa è anche la conclusione secondo cui la causa delle sconfitte elettorali sta nell’assenza di personalità e posizioni «profilate» (un tempo si diceva aggressive), in un rammollimento del partito. Logico quindi che nella corsa per un seggio zurighese al Consiglio degli Stati alle federali di ottobre venisse nominato il pirotecnico Roger Köppel, consigliere nazionale e soprattutto direttore del settimanale «Weltwoche» e non il più posato Alfred Heer. Eppure, alle cantonali zurighesi sono stati eletti soprattutto gli esponenti moderati. E se poi a Lucerna e a Basilea Campagna perdi voti non solo nei centri ma pure in campagna, vuol dire che stai perdendo appeal presso la tua base tradizionale, quella contadina – che non riguadagni con un intellettuale di destra come Köppel.

Nel 1977 Christoph Blocher assunse la presidenza della sezione zurighese dell’UDC (la mantenne fino al 2003), trasformando un sonnecchiante partito borghese-contadino in un’agguerrita macchina di consensi che spaziava dall’area contadina a quella neoliberale-conservatrice, influenzando fortemente gli equilibri politici nazionali. Se la crisi dell’UDC diventasse strutturale, vorrebbe dire che Christoph Blocher sta diventando troppo vecchio per la Svizzera di oggi e di domani.