Nonno litografo, padre e zio compositori a mano, io fino ai 25 anni fotolitografo e impressore offset, credevo di sapere tutto sul mondo del libro, dopo aver coltivato a lungo la fantasia di diventare editore ed essere tuttora collezionista di cataloghi storici di case editrici. Per arrivare a scoprire che fino all’altro giorno ignoravo il significato della parola «Bibliologia». Ora credo di saperlo, dopo aver assistito alla conferenza di Andrea De Pasquale, direttore della biblioteca nazionale di Roma, sul tema «Le origini della bibliologia tra Torino e Parma».
Svelo l’arcano: la bibliologia è lo studio del libro come oggetto nella sua materialità, al di là dei suoi contenuti. Considera il libro come mero supporto per analizzare le informazioni che si sono stratificate su ogni singola copia, compresi i segni lasciati da coloro che l’hanno preso in mano prima di noi. È un’esperienza comune a tutti: chiedere in una biblioteca pubblica un libro da consultare sul posto o da leggere a casa e scoprire che chi l’ha avuto in mano prima di noi ha fatto delle sottolineature o, peggio, ha scritto dei commenti sui margini bianchi.
Fino a ieri mi montava una rabbia cieca, ora non più, da quando pratico la bibliologia sono felice di trovare un libro scritto dai lettori che mi hanno preceduto. Da ragazzo abitavo con la famiglia nella città di Asti e frequentavo la biblioteca Vittorio Alfieri. È facile da trovare, si trova nel palazzo Alfieri, in cima al corso Alfieri, subito dopo il liceo Alfieri; partendo da piazza Alfieri, dove c’è il monumento a Vittorio Alfieri, transitate prima davanti al teatro Alfieri e se, lungo la strada, vi viene fame, potete entrare in un bar e gustare una delizia, l’Alfierino, un minuscolo panettone. Aggiungo un ultimo particolare e mi scuso con il lettore che ci è arrivato per suo conto: Vittorio Alfieri è nato ad Asti. Bene, un giorno ho chiesto in lettura un volume delle opere di Shakespeare e mi sono visto consegnare un libro con i margini annotati dal grande trageda. In qual caso vale la pena fare della bibliologia, ma succede molto raramente.
Ma c’è di più: la nostra disciplina si occupa anche di tutti i materiali a stampa, effimeri nella loro natura di testimonianze di eventi singoli. Un consolante vento di utopia soffia su queste definizioni. Tenere tutto, schedare tutto. L’Archivio Storico della Città di Torino custodisce la «Collezione Silvio Simeon», così chiamata dal nome di colui che, dopo averla acquistata dal bibliofilo Vincenzo Armando, aveva continuato ad arricchirla. Consiste in 20’000 pezzi relativi alla storia della città di Torino, divisi in undici serie che comprendono incunaboli, libri, opuscoli, fogli sciolti, disegni, caricature, editti, almanacchi, guide della città, giornali, periodici, libretti d’opera, manoscritti.
È un tesoro sterminato per chi volesse descrivere la vita quotidiana di un tempo: orazioni funebri, composizioni poetiche in occasioni di matrimoni, menù di pranzi ufficiali, inviti a nozze, prediche, necrologi, avvisi comunali, bandi, regolamenti del commercio, verbali di contravvenzioni, programmi teatrali, cataloghi di mostre. Ci sono voluti dieci anni di lavoro degli archivisti guidati dalla direttrice Rosanna Roccia per redigere l’inventario e pubblicare il catalogo. Su ogni singolo pezzo erano anche segnati la data di acquisto, il prezzo pagato, il nome del venditore o del donatore e questi ultimi dati non sono stati riportati sul catalogo, così come non sono descritti i supporti sui quali sono stati redatti. Era necessario? Forse no.
Fino a che punto bisogna arrivare nella catalogazione? Un altro caso: la Cineteca di Bologna lavora alla digitalizzazione dei supporti cartacei dei film di Charlie Chaplin e già diversi anni or sono aveva completato quella relativa al film Luci della città, per un totale di 50’000 fogli. Domande: uno studioso che voglia scrivere un saggio su quel singolo film dove lo trova il tempo di consultare quelle 50’000 pagine? E poi, per sviscerare il valore di quel film serve leggere gli appunti del trucco, l’elenco dei costumi, gli ordini del giorno della produzione, il foglio paga della troupe?
Tornando all’ambito dei libri, da cui siamo partiti, ci deve essere una via mediana fra tenere tutto e buttare tutto. Ogni aspetto del reale è carico di significato e si presta a una lettura, la nostra personale biblioteca racconta molto di noi, non solo dai titoli dei libri ma dalla loro disposizione negli scaffali, dalla presenza e dall’assenza di certe opere.
Gli sceneggiatori del cinema e della televisione, trattandosi di definire un personaggio, si soffermano sul suo aspetto esteriore, sull’abbigliamento, sull’arredo della sua casa, mai ho trovato su un copione l’indicazione di titoli di libri da mettergli in mano o sulla scrivania. Mandiamoli a scuola di bibliologia. A proposito, cosa ne faccio degli appunti che ho preso per scrivere questa puntata? In attesa di una risposta li schedo e li archivio, non si sa mai.