«Saranno i piedini», dice lui, per giustificare le ruote del suo trolley che lo fanno sferragliare come un cingolato. È sera tardi, la città forse vorrebbe dormire. Passiamo noi e sembriamo un convoglio di tir, ma di quelli vecchi, con gli ammortizzatori ormai ammortizzati e qualcosa di metallico che pende or qui or lì. La sua valigia, inoltre, è quasi vuota, rispetto alla mia vicina all’esplosione: cavallerescamente le porta entrambe, lasciando a me il cappello di paglia e la bottiglia dell’acqua. Ma la mia è silenziosa, la sua è come un sacchetto afflosciato con le ruote di un panzer. Cerco di individuare questi terribili piedini, probabile causa del fragore. Niente, vedo solo due ruote un po’ traballanti, sebbene ci sia poco da fidarsi del mio sguardo, come dicevo è sera, e poi lui sembra infastidito dal mio desiderio di risolvere un problema meccanico mentre stiamo compiendo l’azione del-rientro-a-casa.
Abbiamo raggiunto tale livello di consapevolezza che a volte mi dice perfino «non posso / non so fare due cose in una volta», preferendo il non posso al non so, senza aggiungere l’ovvio «perché sono un uomo» nel senso di maschio, anche quando le due cose sono salutare la portinaia con un cenno e accendere la macchina, oppure togliersi la giacca e dire come è andata la giornata, o, per esempio, chiederlo, come è andata. Ma ormai lo sappiamo, un sorriso impercettibile segna i nostri volti, abbiamo capito ma non ci sono le forze per prenderci in giro. Dove saranno mai questi piedini? Negli ultimi metri verso casa mi arrovello, anche perché è una frase già sentita, saranno i piedini.
Ma sì! La Postilla di qualche anno fa, si intitolava proprio Saranno i piedini! Raccontava della lavatrice di casa, che da più di quindici anni perdeva ogni decenza al momento della centrifuga saltando per il bagno con grave pericolo per i presenti e notevole disturbo uditivo. E raccontavo appunto come qualunque essere maschile udisse o vedesse tale scempio pronunciava queste parole, saranno i piedini, aggiungendo anche espressioni come «una cosa da niente», «si fa in fretta» e, in caso di famigliari, «poi ci penso io», «appena ho un attimo li guardo». Al terzo lustro di balli sfrenati dell’elettrodomestico, ho preso il coraggio con tutte le mani possibili e ho sollevato la lavatrice, appoggiandola al muro e facendo leva con molte leve per riuscire a guardare bene. Fino a scoprire che i piedini non c’erano! Nello scherno generale avevo dunque acquistato delle specie di piattini o posaceneri di gomma, che mi sembrarono perfetti e che ancora oggi controllano le danze e i rumori dell’ultima fase del bucato.
Insomma niente piedini. Quindi, pensavo in ascensore, nemmeno il trolley avrà i piedini, e intanto lui mi raccontava divertito di quando deve partire all’alba, che la città silenziosa è squarciata dal clangore della sua valigia, e di quella volta che a Venezia – dove di notte nelle stradine non vola nemmeno un piccione – hanno aperto le finestre per vedere da dove arrivassero i carri armati nemici e poi gliene hanno dette di tutti i colori. Che gli insulti veneziani sono proprio coloriti. Come siamo diversi, oh come siamo diversi, gli uomini e le donne, proseguo a pensare mentre siamo a casa, apro la valigia, appendo il cappello di paglia. Secoli di battaglie, parità eccetera, e siamo ancora qui, loro che non possono/sanno fare più di una cosa per volta, noi che eccediamo nell’altro senso, e infatti guarda adesso quante ne sto facendo, ho anche messo su l’acqua per la pasta. Loro che si mettono l’anima in pace individuando nei piedini la fonte di ogni male, noi che andiamo a vedere, e poi ci arrangiamo a sistemare ciò che manca o non funziona.
Alla bell’e meglio, lo riconosco, lungi dalla perfezione che toccano certi exploit da dilettanti ma perfezionisti bricoleur. Basta che mi guardi in giro, ora mentre scrivo: il retro della libreria segato con precisione per far passare la mascherina delle prese; i cassetti della scrivania del prozio che ora finalmente si aprono e si chiudono, tutti; poi il motore esterno del condizionatore che rende possibile la sopravvivenza nel torrido fine agosto padano: più in alto di così non si può, diceva il pavido installatore, cementandolo ad altezza testa, e io gli avevo creduto. È dovuto tornare, con scala e collega, per s-cementarlo e riposizionarlo sopra i due metri, e così non dà fastidio né alla vista né alla testa di chi rischiava di prendersi l’aria calda nelle orecchie.
Quella sera dunque pensavo, oh come siamo diversi, quando un dubbio mi assale: e se «saranno i piedini» l’avesse detto per citare la famosa Postilla e per chiudere lì il discorso con una battuta? «Scusa, ma quando parlavi dei piedini del trolley, che tra l’altro mi pare non li abbia, volevi dire proprio i piedini o ti riferivi al titolo di quella Postilla che i nostri amici citavano tanto volentieri?». Parlo, ma sembra non sentire. Per forza, sta scolando la pasta, non posso mica obbligarlo a scolare e ascoltare, insieme.