Salvini in difficoltà

/ 15.07.2019
di Aldo Cazzullo

Lo scandalo Buzzfeed – il sito americano che ha pubblicato la trascrizione dei colloqui nel più lussuoso hotel di Mosca tra l’ex portavoce di Salvini, due altri interlocutori italiani e tre russi – è più serio di quel che i media amici della Lega non lascino trasparire. Gianluca Savoini non è un uomo-chiave del Carroccio di oggi, ma ha avuto un ruolo nel costruire i rapporti tra Salvini e il sistema di potere che ruota attorno al regime di Vladimir Putin. La registrazione non potrebbe essere più chiara: si parla di affari e di soldi. Non c’è la prova che l’oro di Mosca sia davvero servito a finanziare la campagna elettorale della Lega in vista delle trionfali Europee del 26 maggio scorso. Ma la magistratura italiana ha aperto un’inchiesta al riguardo. E gli alleati dei Cinque Stelle sembrano disposti a votare insieme con l’opposizione del partito democratico una commissione che indaghi sul finanziamento della politica.

Non è un mistero che Putin abbia tentato di condizionare le libere elezioni in Occidente, dal referendum sulla Brexit all’elezione di Trump, compreso il disastroso referendum del 4 dicembre 2016 in cui gli italiani, convinti di votare sul futuro di Renzi, diedero un colpo mortale alla possibilità di modernizzare la democrazia parlamentare, riportando il Paese nelle sabbie mobili del sistema proporzionale.

La Lega è sicuramente il partito più filorusso che ci sia in Europa, insieme con il Rassemblement National di Marine Le Pen. Salvini ultimamente ha tentato di avvicinarsi all’America di Trump, ma i vecchi legami sono duri a morire. Non è un caso che sia stato un sito Usa a divulgare la registrazione.

Ho qualche dubbio che lo scandalo sia destinato a scuotere più di tanto l’opinione pubblica italiana. Salvini ha il vento in poppa. Fosse in fase calante, le registrazioni moscovite potrebbero dargli il colpo di grazia. Essendo ancora in fase ascendente, gli italiani preferiscono per ora nascondere la testa sotto la sabbia, e far finta di non vedere e non sentire.

Eppure le difficoltà di Salvini sono evidenti. La Lega ha vinto le elezioni in Italia, ma le ha perse in Europa. Nel nuovo assetto che sta emergendo a Bruxelles, l’Italia non conta molto più di nulla. L’unica carica di vertice l’ha conquistata un esponente del partito democratico, David Sassoli, nuovo presidente del Parlamento europeo, che non è certo un amico del nuovo governo (e infatti né i Cinque Stelle né i leghisti l’hanno votato).

Questa tornata di nomine europee ha se non altro strappato il velo dell’ipocrisia: la Commissione alla Germania, la Banca centrale alla Francia; in Europa comandano loro. E uno dei motivi per cui Parigi riesce a stare accanto a Berlino, pur pesando parecchio meno in termini economici, è perché il sistema francese consente una stabilità politica che quello italiano (anche a causa del disastro referendario di cui sopra) non prevede. Pure il sistema spagnolo regge meglio; non a caso la Spagna oggi in Europa conta di più.

Pretendere che un governo a trazione leghista desse il via libera al socialista Timmermans, simpatico ultrà della Roma, era troppo. Però il governo Conte non esce bene dalle nomine. La Germania piazza un esponente dell’ala destra della Cdu, Ursula von der Leyen, che non farà sconti sul rispetto dei parametri, tanto meno all’Italia. Anche Christine Lagarde, che raccoglie l’eredità di Mario Draghi alla guida della Banca centrale, ha già dimostrato il suo rigore.

La novità più interessante è che si tratta di due donne. E di due donne di destra. In Germania tutti i partiti sono guidati da donne, cui si aggiunge ovviamente la Cancelliera e ora la presidente della Commissione europea. L’Italia resta un Paese maschilista. Le donne in politica devono pagare un prezzo altissimo. A loro in quanto donne è richiesto di più. Forse per questo non sono molte. In particolare a destra.

Resta da chiarire il dramma che sembra vivere il più importante politico emerso in Europa negli ultimi vent’anni: Angela Merkel. Per tre volte la Cancelliera ha tremato visibilmente in pubblico, e per tre volte ha ripetuto che sta bene e non ci sono motivi per preoccuparsi. Eppure non è riuscita a dissipare le angosce. Da tempo ormai la Merkel ha imboccato il viale del tramonto. Ma la sensazione che dopo di lei le cose non possano che peggiorare attanaglia un po’ tutti gli europei che hanno a cuore il futuro del loro continente. E che non vogliono un’Unione europea debole di fronte alla Russia di Putin, disposta a comprarsi partiti amici, magari neppure a caro prezzo.