Roulette russa in salsa asiatica

/ 11.09.2017
di Peter Schiesser

Dopo il test nucleare con una potenza superiore alle bombe che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki, percepito come un terremoto di 6.3 gradi Richter, seguito al lancio di un missile intercontinentale sopra il Giappone, dobbiamo chiederci ancora: ci sarà una nuova guerra di Corea? A mente fredda gli analisti dicono di no, che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha una strategia lucida. La risposta, però, non è esaustiva: che cosa succederà se le provocazioni non cesseranno? Per costruire una risposta più articolata, dovremmo prima di tutto sapere che cosa vogliono Kim Jong-un, Donald Trump e gli Stati Uniti, la Cina di Xi Jinping (senza dimenticare la Russia, il Giappone, la Corea del Sud). Ma esattamente non lo sappiamo.

La tesi più accreditata è che Kim Jong-un non vuole fare la fine di Gheddafi, liquidato dopo aver rinunciato all’atomica: con la sua personale strategia della «deterrenza nucleare» si garantisce una difesa formidabile da nemici esterni e rafforza il suo regime. Nessuno si sognerà di sferrare il primo colpo se la Corea del Nord sarà in grado di inviare missili con testate nucleari fino negli Stati Uniti e devastare la vicina Corea del Sud. Altresì, Kim Jong-un non ha interesse a iniziare una guerra atomica, perché in risposta il suo regime verrebbe distrutto. Dunque, a cosa ambisce la Corea del Nord, con i suoi test missilistici e atomici? A spingere gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati e a essere riconosciuta come potenza nucleare, si argomenta. Tuttavia, sul «New York Times» (5.9.’17) l’esperto nucleare che ha servito sotto Obama John Wolfsthal mette in guardia: «chi vi dice di sapere che cosa vuole la Corea del Nord, mente o tira a indovinare». E Andrei Lankov, della Kookmin University di Seul afferma nello stesso articolo del NYT che la Corea del Nord, nel tentativo di forzare una riunificazione, potrebbe anche provocare un conflitto con il Sud e poi minacciare gli USA di una rappresaglia atomica per dissuaderli a intervenire in aiuto di Seul. Gli Stati Uniti sarebbero costretti a scegliere se difendere un alleato o se stessi. «La probabilità è bassa ma reale», dice Lankov.

E gli americani? A fronte di un regime nordcoreano noto per mentire da decenni, hanno un presidente Trump che le spara grosse, che si contraddice da mattina a sera, passando da minacce di guerra a offerte di colloqui diretti con Kim, convinto del proprio talento di negoziatore (vedi Rampini a pag. 23). Ma quale deal potrebbe ottenere? La Corea del Nord non rinuncerà alla bomba atomica, se un accordo fosse possibile sarebbe solo a vantaggio di Kim, che intende inoltre ottenere il ritiro delle truppe americane dal Sud. Quindi, poiché Trump non sarà così folle da ordinare un’azione militare preventiva, continuerà a inveire, impotente, contro ogni nuova provocazione, lasciando che gli USA perdano credibilità fra i loro alleati asiatici?

E infine, la Cina (ne scrive anche Beniamino Natale): ci si chiede se gli ultimi test missilistici e nucleari siano più una sfida a Trump o a Xi Jinping. La Cina ambisce a essere la potenza numero uno in Asia. Ma con queste provocazioni la Corea del Nord sta minando il prestigio cinese. Inoltre, crea instabilità e di riflesso riaccende l’interesse degli Stati Uniti per la regione. E questo proprio quando la Cina sta rafforzando i suoi legami economici con la Corea del Sud, mentre Trump sembrava volersi allontanare dall’Asia, voltando le spalle alla Trans Pacific Partnership e ora minacciando di rompere gli accordi economici con Seul. Eppure, Pechino non può mollare il regime di Kim, perché se crollasse si ritroverebbe i soldati americani alla proprie frontiere. Anche la Cina sembra in un vicolo cieco.