Romanzo grandioso di una menzogna assassina

/ 06.05.2019
di Paolo Di Stefano

Chi ha dimenticato Jean-Claude Romand? Nato nel 1954 in un villaggio termale del Giura francese, Lons-le-Saunier, Romand ottiene brillantemente la maturità e si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Lione. Ma dal giorno del 1975 in cui fallisce l’esame di ammissione al secondo anno, diventa un falso studente, tenterà dodici volte di passare gli esami fallendo sempre, poi sarà un falso laureato e dall’86 un falso medico e un falso ricercatore dell’OMS a Ginevra. Il matrimonio, celebrato nel 1980 con la farmacista Florence Crolet, è vero. E sono veri pure i due figli che ne nascono. Per diciotto anni, la sua vita sarà impostata sulla bugia e sul travestimento, finché, non riuscendo più a sostenere le menzogne di fronte alla famiglia e agli amici, poco prima di essere scoperto decide di eliminare le persone più care «per non deluderle».

Nella casa di Prévessin-Moëns, regione dell’Alvernia-Rodano, sul confine svizzero, alle otto del mattino di sabato 9 gennaio 1993 Romand uccide sua moglie colpendola nel letto con un mattarello, poi prepara la colazione ai bambini (Caroline di 7 e Antoine di 5 anni), guarda con loro i cartoni animati in tv, li fa tornare a letto e li colpisce con una carabina calibro 22. A quel punto, dà una sistemata alla casa, ritira la posta, va a comperare il giornale e aspetta mezzogiorno per raggiungere la villa dei genitori, a Clairvaux-les-Lacs: dopo aver pranzato con loro, attira il padre al primo piano e lo uccide con due colpi di fucile, poi infligge la stessa fine a sua madre e al labrador di casa, «affinché – dirà – raggiungesse la bambina, che lo adorava».

Non è finita. Romand da quattro anni ha un’amante, Chantal Delalande, un’ex dentista che ha prestato a Jean-Claude ben 900 mila franchi francesi per uno dei suoi investimenti bancari fantasma. Per vivere e far vivere la famiglia a un livello degno di un (falso) medico, Romand ha contratto una quantità di debiti pari a due milioni e mezzo promettendo interessi favolosi del 18%. L’ultimo colpo di genio è stato di fingersi gravemente malato di cancro: fatto sta che per anni, superato il confine, la doppia vita di Roland era fatta di giornate vuote, non trascorse nel presunto studio di ricercatore, ma dentro la sua auto, parcheggiata vicino all’ospedale ginevrino e trasformata in ufficio e sala lettura (di libri, di riviste porno, di guide turistiche e di periodici medici).

Insomma, la sera di sabato 9 gennaio Romand incontra Chantal con la promessa di una cena a Fontainebleau, presso un amico. Ma la cena non c’è e non c’è neanche l’amico. Dunque finge di perdersi e nel (falso) disorientamento, verso le 23 si ferma nel buio di una foresta, tira fuori uno spray lacrimogeno, ma la donna si difende e urla, al punto che Jean-Claude desiste, si scusa e accompagna l’amante a casa. Romand torna sui suoi passi, cioè a casa propria, dove giacciono tre cadaveri. Passa lì, girovagando e guardando la tv, tutta la domenica. In serata cosparge di benzina il solaio, i letti di sua moglie e dei bambini, poco prima delle quattro del mattino ingoia una sostanziosa dose di barbiturici (scaduti da tempo) e accende il fuoco. Un quarto d’ora dopo i pompieri accorrono e trovano i tre cadaveri e l’assassino in stato comatoso ma ancora vivo.

Quando i poliziotti vanno a Clairvaux-les-Lacs per comunicare ai nonni Romand la disgrazia, non possono che constatare l’altra carneficina. Figlio, marito e padre modello, esperto (dilettante) di cardiologia, Romand fu condannato nel 1996 all’ergastolo: il tribunale non prese in considerazione la morte accidentale, nell’ottobre precedente, del suocero, caduto da una scala sotto gli occhi del genero, unico testimone del fattaccio e suo debitore.

Ora, il mostro, il mitomane, l’assassino che impressionò la Francia ha ottenuto la libertà condizionata dalla Corte d’Appello di Bourges. Romand è diventato il protagonista del romanzo capolavoro di Emmanuel Carrère intitolato L’avversario (5½) e di un film omonimo con Daniel Auteuil (5). Ha scritto Carrère, ripensando alla vergogna di essere stato affascinato da quel criminale, con cui ha avuto un lungo scambio epistolare: «A distanza di tempo, credo che ciò che avevo tanta paura di condividere con lui lo condivido, lo condividiamo lui e io, con la maggior parte della gente, anche se per fortuna la maggior parte della gente non arriva al punto di mentire per vent’anni e poi sterminare tutta la famiglia. Penso che anche le persone più sicure di sé percepiscano con angoscia lo scarto che esiste fra l’immagine di sé che bene o male cercano di dare agli altri e quella che hanno di loro stesse nei momenti d’insonnia, o di depressione, quando tutto vacilla e si prendono la testa fra le mani, sedute sulla tazza del cesso. In ciascuno di noi c’è una finestra spalancata sull’inferno; cerchiamo di starne alla larga il più possibile, e io, per una mia precisa scelta, ho passato a quella finestra, ipnotizzato, sette anni della mia vita» (6).

Non è la prima volta che una squallida mostruosità genera sublime, grandiosa letteratura.