Il mobbing e le rivalità fra gli chef non sono un’invenzione recente. Ne fa fede la storia tragica di un grande cuoco, fino a poco tempo fa pressoché sconosciuto. Ad Asti c’era un tempo e forse c’è ancora, un quartiere malfamato. In ogni città ce n’è uno, il suo nome è deciso dagli abitanti degli altri quartieri. Il capro espiatorio di Asti è stato per lungo tempo il rione di San Rocco. In quel quartiere nasce il 29 marzo 1796 Teofilo Barla; suo padre Jean Baptiste, nizzardo, quando lui ha due anni, sorpreso a pescare di frodo le carpe, ingaggia una rissa con i doganieri, cade nel Tanaro e, non sapendo nuotare, annega.
Sua madre Margherita Occhiena si risposa nel 1810 con Filiberto Bodritti, del Corpo Reale degli ingegneri al servizio di casa Savoia. Nello stesso anno il patrigno gli trova lavoro come «sguattero» (che allora stava per «aiutante») nelle cucine di casa Savoia; prosegue per 37 anni finché Carlo Alberto, apprezzando una confettura da lui ideata, lo nomina Maître Pâtissier et Confiseur Royal alle dirette dipendenze di Giovanni Vialardi, Capo di Cucina, che in quell’occasione è promosso Capo cuoco e pasticcere. Da notare che Vialardi, nato a Salussola l’8 febbraio 1804, era più giovane di otto anni di Barla; aveva iniziato a lavorare come suo sottoposto e aveva finito per scavalcarlo nella gerarchia di cucina.
L’incidente che segna una svolta in senso negativo del destino di Teofilo accade nel febbraio 1851: durante un banchetto nel castello di Garessio per una battuta di caccia condotta da Vittorio Emanuele II, re da due anni, il nostro cuoco prepara una polenta alla moda della valle d’Aosta. La conosciamo con il nome di polenta concia: dopo aver fatto rassodare la polenta la si taglia a strati orizzontali inserendo fra uno e l’altro fette del formaggio Fontina e poi la si rimette al forno per farla gratinare. È un’ottima idea per i giorni freddi del mese di febbraio. Nel servirla, Teofilo, purtroppo per lui, la rovescia su sette commensali: possiamo immaginarci quelle nobili gambe impiastricciate dalla polenta e dalla fontina. Come nel gioco dell’oca, Barla per punizione deve tornare alla casella di partenza, il re lo rimanda a fare lo sguattero.
Pensando di riscattarsi scrive Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di real casa Savoia, con 100 ricette. Lo dedica al Re e a Giovanni Vialardi citandolo come «pria discepolo poscia maestro». Lo pubblica a sue spese, nel 1854. Ma ignora che pochi mesi prima lo stesso Vialardi stava pubblicando il suo celebre Trattato di Cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria, con oltre 2000 ricette, conosciuto come «Il Vialardi» e consultato ancora oggi. Non c’è posto sul mercato per due ricettari, provenienti per di più dalla stessa cucina e quello di Barla è destinato a soccombere: le cento copie da lui destinate in omaggio alla biblioteca reale sono mandate al rogo, non si sa per ordine di chi. L’insuccesso incide sul carattere di Barla che si mostra indolente e litigioso guadagnandosi una seconda retrocessione a «stalliere di lettiera». Per integrare i magri guadagni, pratica la pesca di frodo sulle rive del Sangone (uno dei quattro fiumi di Torino); scoperto e inseguito dai carabinieri, cade in acqua e annega, subendo la stessa sorte toccata al padre. È il 29 agosto 1872 e in quello stesso giorno muore Giovanni Vialardi, ricco e famoso, circondato dai sette figli e dai tanti nipoti.
Nella misera tana dove Barla si era ridotto a vivere, gli inquirenti trovano molte centinaia di copie del suo libro rosicchiate dai topi e le bruciano. È come se il lavoro del Barla non fosse mai esistito. Finché nel dicembre 2004, visitando il Salone del Libro Usato a Milano lo studioso Bruno Armanno Armanni ne rintraccia una copia, forse l’unica esistente: «Era in deplorevole stato di conservazione, sbrindellato, privo di numerose pagine, con vista tipografica dimessa e di insolito formato». A lui dobbiamo non solo la trascrizione del testo ma tutte le notizie sopra riportate sulla vita dell’autore. Il libro è stato pubblicato con tutti gli apparati nel 2011 dall’editore Arnaldo Forni di Bologna, come numero 37 della collana «Testi antichi di gastronomia ed enologia».
Sulla lunga distanza il Vialardi era destinato a vincere, non solo per il rapporto di 2000 ricette contro 100, ma anche perché lui usa già il sistema metrico decimale che una legge promossa da Carlo Alberto ed entrata in vigore il 1. aprile 1850 rendeva obbligatorio, mentre Barla usa ancora le vecchie unità di massa e di capacità in uso a Torino. Si tratta di una trilogia, come si desume dal titolo. Il confetturiere tratta «del modo di confettare frutti diversi in diverse maniere», ossia marmellate e dolci; L’alchimista, tratta «del modo d’ottenere diversi elixir in diverse maniere», ossia liquori e distillati, fra i quali un «Elixir di Coca e Cola» che anticipa la bevanda nata ad Atlanta; infine Il cuciniere tratta «del modo di cucinare diverse carni di terra di aria e di acqua». L’autore divide le preparazioni e le cotture in ordinarie e in sublimi, in base alle difficoltà di esecuzione e al livello sociale dei convitati. Teofilo Barla non manca mai di sottolineare, quando è il caso, gli effetti afrodisiaci delle sue ricette.
È la prova che conosceva bene le inclinazioni dei suoi augusti padroni.