Rinascimento europeo

/ 11.03.2019
di Paola Peduzzi

Fieri e lucidi, ha detto Emmanuel Macron, dobbiamo costruire un «rinascimento europeo», rilanciare il progetto che ci ha tenuti insieme e in pace e prosperi per settant’anni e che ora rischia di crollare. Il presidente francese ha ripreso il suo europeismo dove lo aveva lasciato nel 2017, il suo anno magico, un anno magico per tutto il continente, dopo lo shock del 2016 – la Brexit e Trump – e prima del 2018, anno dell’inversione populista trainata dal governo italiano gialloverde.

Allora Macron aveva delineato l’Europa del nuovo millennio nel discorso alla Sorbona, democrazia, unità, riforme, una prospettiva che si sposava con le aspettative rosee dell’economia che avrebbe dovuto, nel 2018, recuperare forza e creare quell’allineamento delle stelle che affascinava persino i gelidi economisti. Sappiamo come è andata, e sappiamo anche che, di scossone in scossone, la Francia ha perso il suo slancio da guida e si è inabissata nei suoi guai in gilet giallo, perdendo di vista i propri cantieri di riforma e quello più grande, quello europeo.

Con la Brexit alle porte – dai tempi ancora ballerini – e il continuo scontro tra chi ambisce a un’Europa delle nazioni e chi insiste sulla necessità di una integrazione politica decisa e condivisa, Macron cerca di scrollarsi di dosso critiche e perdita di consenso e a pensare in grande. Nella sua lettera agli europei dedicata al «Rinascimento» che ci aspetta, il presidente francese fa presente un punto importante: non siamo solo un mercato unico. Cioè, il mercato unico è già una cosa grande: chiedete agli inglesi cosa ne pensano ora che provano a staccarsi e saranno costretti, nel migliore dei casi, a replicare quasi in toto una struttura simile a quella comunitaria (e sugli inglesi, la loro impreparazione, le alternative che non c’erano Macron ha insistito parecchio: non c’è nulla di dimostrativo dell’europeismo della Brexit).

Per Macron però c’è un grande opportunismo nel voler vedere l’Unione europea soltanto come un affare commerciale: siamo molto di più, dice, e si rivolge in particolare all’est del continente, sempre più riottoso nei confronti di Bruxelles e dell’occidente. La querelle che si è aperta con l’Ungheria ne è il simbolo: il premier di Budapest, Viktor Orban, sta facendo campagna elettorale per le Europee accusando direttamente i suoi colleghi di partito europeo (i popolari), con cui non condivide nulla se non appunto la famiglia (che si dà il caso essere quella che, nonostante il calo, con tutta probabilità resterà la più grande al Parlamento europeo). I fondi europei e gli scambi commerciali vanno bene, dice Budapest, tutto il resto no. Con evoluzioni retoriche degne di nota – leggere i commenti sul liberalismo, per esempio – l’est recalcitrante non immagina più un’integrazione politica, anzi la rifugge, come già ha fatto il Regno Unito.

Macron al contrario insiste sulla condivisione di valore, oltre che di una valuta e di un mercato. E cerca anche di fare un passo ulteriore, che riguarda il cambiamento: il presidente francese non vuole che la sua offerta, liberale ed europeista, finisca per restare appiccicata allo status quo. È così che sta andando, perché i partiti anti sistema si sono intestati anche le battaglie per il cambiamento, per quanto siano in realtà proiettati spesso a una restaurazione del passato più che a una rivoluzione per il futuro. Ma se sei liberale ed europeista oggi sembri un custode dello status quo: Macron prova a ribellarsi, propone nuovi cantieri e nuove modalità di dialogo, ma se c’è una debolezza in questa parte della barricata è proprio qui.

Macron, assieme ad Angela Merkel e a molti paesi del nord, vuole rimettere in ordine l’Europa e magari, dato che c’è, anche il mondo occidentale, ma l’ordine prestabilito sa, per sua natura, di status quo. Per districarsi, è necessario ripercorrere i vantaggi della vita europea, ricordare che il progetto comunitario è sicurezza e protezione, non un nemico da cui scappare ma un rifugio sotto cui accomodarsi. Libertà, protezione, progresso: sono queste le parole chiave dell’Europa che verrà, «superando i tabù dei trattati» azzarda addirittura Macron, creando un mal di testa improvviso prima di tutto in Francia – che sui trattati si spaccò in tanti pezzi – ma anche in altre parti dell’Ue. Ma questa delle riforme interne è l’unica strada per poter dire: anche noi vogliamo un cambiamento. Che sia ordinato però, e che a prendere in mano il proprio destino non sia un popolo alla volta, ma tutti insieme, gli europei.