Ticino e ferrovia sono cresciuti insieme, fin dalla seconda metà dell’Ottocento. Treni e binari, stazioni e depositi, e poi il personale, con il suo ampio spettro di funzioni e mansioni: macchinisti, frenatori, scambisti, guardalinee, verificatori, bigliettai, manovratori, meccanici, fabbri, fochisti, facchini…La ferrovia ampliava e arricchiva l’offerta professionale, dopo secoli in cui l’unico sbocco era rappresentato dall’emigrazione stagionale. Ora invece i convogli privati della «Gotthardbahn» permettevano ai vallerani di non allontanarsi troppo dal paese natale, e magari di continuare ad accudire le bestie di famiglia. Con la ferrovia – ma anche con le poste e i telegrafi – si diventava «impiegati», primo gradino di una possibile ascesa sociale. Nazionalizzata all’alba del XX secolo, la ferrovia con le insegne della Confederazione offriva non soltanto posti di lavoro, ma anche un orario normato, uno stipendio mensile regolare, possibilità di formazione e di carriera. Tutto ciò non esisteva nella comunità rurale, immersa com’era nel ciclo delle stagioni, un’attività continua, faticosa, spesso avara di soddisfazioni. Non è fuori luogo affermare che le «regie federali» (con le citate poste, le dogane e l’esercito: arsenali, fortificazioni, aerodromi) crearono il ceto medio del cantone, quella fascia né ricca né povera che ancora oggi raccoglie il maggior numero di ticinesi attivi. Molti giovani, terminato l’apprendistato come falegname, elettricista o macellaio, trovarono conveniente indossare i panni del funzionario stipendiato anziché esercitare il mestiere appreso.
Anche le ripercussioni territoriali sono rilevanti e incisive; il tracciato scompone e riorganizza gli spazi, formando nodi capaci di coagulare iniziative imprenditoriali. Nel perimetro delle stazioni nascono buffet ed edicole; negli immediati dintorni spuntano alberghi, ristoranti, negozi, perfino cinematografi.
L’esercizio ferroviario diventa parte della quotidianità, influenza abitudini e modi di vestire, penetra nel linguaggio. Chiasso, il principale centro di smistamento, crocevia di passeggeri e merci, vede formarsi una «neolingua» che assorbe, riformulandole spesso in dialetto, espressioni tedesche e italiane. «Un linguaggio ferroviario di termini ed espressioni particolari – osserva Graziano Gianinazzi nel suo saggio intitolato Linguaggio da capostazione, appena riedito da Salvioni – intriso di norme fatte per il movimento – che in gergo è la movimentazione di treni e manovre – talvolta difficilmente comprensibile a chi non è del mestiere, che ha poi contagiato le stazioni fino all’altro confine del Ticino, per diventare l’italiano di parlata comune ai ferrovieri ticinesi». Così la gru per rifornire d’acqua le locomotive a vapore («Wasserkran» in tedesco) diventa in dialetto «masacran»...
Senza l’innesto di questa spina dorsale fatta di rotaie e traversine, il Ticino sarebbe rimasto molto indietro nello sviluppo, sia industriale che turistico. Difficile raffigurarsi un paesaggio socio-economico diverso, privo della strada ferrata, che col tempo è diventato una seconda pelle, come dimostra un libro recente del fotografo Adriano Heitmann, autore del volume Panorama Gottardo: una ricognizione della linea dall’alto, uno sguardo a volo d’uccello reso possibile dalla fotocamera digitale agganciata ad un drone (edizioni Casagrande).
Ricordati i capitoli gloriosi, per le famiglie e per l’economia cantonale, occorre tuttavia aggiungere anche qualche pagina nera. Le ultime le abbiamo tutte sott’occhio: interruzione di AlpTransit a Lugano, erosione degli effettivi (una vicenda iniziata con l’agitazione del 2008), disputa sulla futura ubicazione delle Officine di Bellinzona. Quest’ultima questione ha scavato ulteriori fossati tra le maestranze e la città e tra Castione e Bodio. Le FFS, dal canto loro, non sembrano propense a ridiscutere la scelta di Castione, impancandosi a giudice supremo (atteggiamento accompagnato dalla minaccia di trasferire lo stabilimento oltre San Gottardo).
Tutti speriamo che si arrivi ad una soluzione concordata, atta a salvare impieghi, tecnologia, ricerca e ambiente; e anche la cooperazione con le FFS, senza le quali non pare possibile allestire un progetto agguerrito che sia in grado di affrontare la concorrenza degli insediamenti industriali d’oltralpe.