Continuo a seguire, cercando di farmi forza, il tortuosissimo dibattito sul caso Argo 1, «scandalo» che da mesi tiene banco in Ticino. Non intendo però proporre visite al ginepraio del contendere, né per riesumare galanterie da 150 euro, né per seguire «scoop» che mirano solo al bersaglio fisso: il passo indietro – come minimo la rinuncia a un settore del suo dipartimento, meglio ancora se le dimissioni – di un ministro del nostro governo. Tanto più che dopo mesi di avvitamenti e contorsioni ora abbiamo la sospirata (metaforicamente) commissione parlamentare di inchiesta, voluta a tutti i costi (e non sarà solo un modo di dire, purtroppo) in barba persino ai «non luogo a procedere» sanciti dalla magistratura (l’ultimo esclude la corruzione, quindi conferma le penose arrampicate sui vetri di chi pesca nel torbido). Simili avvenimenti, senza fare troppa dietrologia, ed evitando di riesumare analoghe vicende ormai sepolte nell’oblio, hanno sempre avuto anche il merito di restituire attualità al giudizio che oltre 150 anni fa, nelle sue «Semplici verità ai Ticinesi», il Franscini ha posto sulle labbra del benemerito Bonstetten: «Queste genti che non hanno mai denaro per le utili cose (...) solo per i litigi sono elleno ricche e liberali». Detto oggi suonerebbe così: passano gli anni, cambiano scenari e persone, ma la natura «cantonticinese» sembra condannata a rimanere schiava (o prigioniera) dell’arte del litigio.
Nei giorni in cui il vortice mediatico legato ad Argo 1 iniziava ad alzarsi, seguivo una bella iniziativa giornalistica, avviata durante l’estate dal quotidiano «il Foglio» e imitata anche da altri editori: discorsi storici, famosi perché pronunciati da personaggi che hanno segnato la storia, ma soprattutto per il messaggio politico o morale che gli autori (statisti, intellettuali, religiosi, scienziati: sabato l’altro, «il Foglio» ospitava il discorso della scrittrice J.K. Rowling in cui parlava di fallimenti e immaginazione ai neolaureati di Harvard) hanno saputo trasmettere. Ho così potuto scoprire il discorso pronunciato nel 1964 da Ronald Reagan all’esordio sulla scena politica come governatore della California, quindi in anticipo sull’elezione a presidente degli Stati Uniti. Noto con il titolo A Time of choosing esso reca anche questo brano: «A voi e a me viene detto, con sempre maggiore insistenza, che dovremo scegliere fra destra e sinistra, ma vorrei suggerire che, in questo caso, non ci sono una destra e una sinistra. Vi è solo un alto e un basso. Si può salire verso l’alto, elevandosi all’antichissimo sogno dell’uomo di coniugare il massimo della libertà personale con un ordine legittimo. Oppure cadere in basso, nel formicaio del totalitarismo».
Ammaliato dalla sorprendente attualità di queste parole, ho cercato nel testo anche qualche legame con le vicende di Argo 1. E alla fine l’ho trovato. Non nel discorso citato, ma nella risposta data da Reagan a un giornalista che gli aveva chiesto cosa fosse per lui la politica: «È solo un pezzo dell’industria dello spettacolo». Sebbene pronunciato da un politico da sempre considerato poco più che un attore da strapazzo, questo giudizio rafforza la mia convinzione personale: anche Argo 1 è ormai puro spettacolo, uno sceneggiato lanciato ogni volta con variopinti riassunti, amplificato dall’industria mediatica nostrana e dai prolungati maneggi che la classe politica, volente o distratta, ha accettato di offrire con la partecipazione diretta o indiretta di funzionari.
Chi scrive è uno della vecchia guardia, da sempre, e anche per natura, portato a credere che litigi e dispute nell’ambito della politica cantonale abbiano la stessa funzione di quelle lunghe aste degli acrobati. Stando agli storici, più che per camminare in sicurezza, le aste sono servite ai partiti ticinesi per tenersi in equilibrio sulla corda tesa fra «pessimismo della ragione» e «ottimismo della volontà». Per questo in passato dopo i litigi, dopo essersi aiutati con le aste a ribadire le proprie posizioni, i partiti si limitavano a rinviare «con fiducia» conclusioni e verdetti alle inchieste e non alle grida degli strilloni.
Ma i tempi morti non si addicono alla spettacolarizzazione. Così mesi e mesi di telenovele ora spingono il cittadino a trarre conclusioni, anziché che da tesi e opinioni dei partiti, da una aggrovigliata e sempre mutevole ridda di insinuazioni e interrogativi correlati. Una condizione resa inevitabile anche dal fatto che nella vicenda Argo 1 supposizioni e smentite vengono meticolosamente comunicate sempre in scala: 200 righe per editoriali e articolesse, solo 5 righe di numero per le smentite. Non deve nemmeno sorprendere che l’opinione pubblica faccia fatica a rendersi conto che sopra, o sotto, o a fianco dello «scandalo» dell’anno, ne esiste un altro, non meno grave: quello di una classe politica che, forse per paura del fango mediatico, non si preoccupa di rispettare le decisioni dei magistrati.