Regioni di montagna, dove investire?

/ 02.05.2017
di Angelo Rossi

La nuova politica regionale della Confederazione è entrata nel suo decimo anno e, stando almeno agli appelli che stanno facendo i suoi responsabili, sembra sia minacciata dalle misure di risparmio. D’altra parte l’idea che lo Stato intervenga a sostegno delle regioni di montagna continua ad essere osteggiata in particolare da chi pensa che l’avvenire di queste regioni debba essere deciso dalle forze del mercato. Ricordiamo che la politica regionale federale è passata per due fasi. Nella prima, sviluppatasi tra il 1975 e il 2008, il suo obiettivo era quello di rafforzare l’attrattiva di tutte le regioni di montagna investendo soprattutto nella realizzazione di infrastrutture, in particolare quelle dei trasporti e quelle turistiche. Nella seconda, iniziatasi per l’appunto nel 2008, si è adottato invece un obiettivo maggiormente selettivo. Da sviluppare sarebbero solo quelle regioni nelle quali possono nascere iniziative di produzione di beni e servizi in grado di affermarsi sul mercato. Le altre sarebbero abbandonate al loro destino.

Oggi, con la crisi del turismo invernale e le limitazioni che conosce la costruzione di residenze secondarie, è difficile trovare dove queste iniziative potrebbero svilupparsi. La politica in favore delle regioni di montagna è così entrata in crisi. Le difficoltà che la stessa conosce sono date, non da ultimo, dal fatto che nelle regioni di montagna – che rappresentano pur sempre il 14% del territorio nazionale – vive (e vota) solamente il 6,1% della popolazione. C’è quindi sempre chi trova che per i quattro gatti che continuano ad abitare queste regioni non occorrano aiuti, perché tanto il santo non vale la candela. I lettori si ricorderanno forse della polemica, scoppiata qualche anno fa, sugli aiuti alle stazioni sciistiche ticinesi. Una perizia aveva concluso che, in Ticino, la stagione invernale non aveva futuro e quindi era inutile aiutare le stazioni esistenti. Allora i politici di casa decisero diversamente.

Ora l’argomento della convenienza degli investimenti nell’infrastruttura delle regioni di montagna è stato ripreso in una pubblicazione critica di Avenir Suisse. Rispolverando il concetto di costo di opportunità, il think tank zurighese disapprova in particolare i costosi progetti realizzati in diverse di queste regioni nel corso degli ultimi due decenni. Il costo di opportunità di un investimento è rappresentato dalle differenze in redditività che si potrebbero realizzare se, con i mezzi destinati allo stesso, se ne finanziassero altri più redditizi. Avenir Suisse cita, per esempio, il caso delle circonvallazioni realizzate in Prettigovia. Nel corso degli ultimi venti anni, sono stati spesi circa 750 milioni di franchi per realizzare le circonvallazioni di Klosters, Saas e Küblis. Con la metà di questa somma, affermano i ricercatori zurighesi, si sarebbe potuto realizzare un secondo campus a Coira per il dipartimento di turismo e economia della scuola universitaria professionale. Avenir Suisse sembra suggerire quindi che per lo sviluppo delle regioni di montagna dei Grigioni una scuola di turismo «rende» di più che tre circonvallazioni.

Secondo noi il confronto con altre varianti di investimento – posto che ce ne siano e che i mezzi finanziari possano essere deviati verso la variante più redditizia – è certamente da raccomandare. Ma non bisogna fermarsi a considerare il costo. Occorre anche quantificare i benefici dell’investimento e, siccome parliamo di politica regionale, specificare quali sono le località che ne traggono beneficio. Se il problema di sviluppo si manifesta, per fare un esempio, ad Airolo, non ha molto senso criticare il progetto di investimento da realizzare in questa località, argomentando che a Lugano vi sarebbe la possibilità di utilizzare i mezzi finanziari in gioco in modo più redditizio. Ci si può poi chiedere perché solamente i progetti di infrastruttura da realizzare nelle regioni di montagna debbano essere sottoposti al test del costo di opportunità. Che dire dei milioni che gli enti pubblici hanno investito negli aeroporti regionali, nei musei, nei teatri e in altre infrastrutture culturali, per non parlare delle decine di miliardi spesi nella rete stradale e ferroviaria delle nostre regioni urbane? Sono stati tutti redditizi?

Due parole infine sul catalogo di misure suggerito da Avenir Suisse: non brilla certo per originalità; ha però il merito di citare esempi che hanno avuto successo in altre regioni (secondo il principio in voga della buona pratica), come l’idea di mobilitare i proprietari di residenze secondarie per stimolare gli investimenti in attività economiche locali, oppure quella di realizzare «cluster» di attività artigianali che possano collaborare con scuole che promuovono le attività di ricerca e sviluppo. Nonostante la bontà di questi consigli, l’impressione finale è che all’autore di questo studio di Avenir Suisse prema di più sollecitare la ritirata dello Stato dai progetti di investimento in favore delle regioni di montagna che trovare nuove possibilità di sviluppo per queste regioni.