Se c’è una variabile, tra quelle che determinano l’andamento dell’economia e del nostro benessere, la cui evoluzione può essere anticipata nel lungo termine, questa è la variabile demografica. L’evoluzione della popolazione di una determinata regione o di un determinato paese è data dalla somma del saldo del movimento naturale (nascite meno decessi) con quello del movimento migratorio (immigrati meno emigrati). Se questa somma è positiva la popolazione cresce; se è negativa, diminuisce. Ora, per quel che riguarda la maggioranza dei paesi europei il saldo del movimento naturale è negativo o lo sta per diventare. In questi paesi, e anche in Svizzera (e, ovviamente, anche in Ticino), muoiono cioè più persone, oggi, di quante ne nascano. Se non ci fosse un saldo migratorio positivo la popolazione di questi paesi dovrebbe cominciare a diminuire. In altre parole, nel lungo termine, l’Europa senza immigranti è destinata a morire.
Prendiamo il caso dell’Italia. Le previsioni disponibili ci dicono che con un’immigrazione positiva l’Italia potrebbe raggiungere, nel 2050, i 66 milioni di abitanti. Con un saldo migratorio nullo, invece, non supererà i 53 milioni. Per la Germania non è neanche più un problema di ipotesi sull’evoluzione del saldo migratorio. Questo paese, che contava 80 milioni di abitanti, nel 2010, vedrà la sua popolazione aumentare sino a raggiungere gli 82,5 milioni nel 2020, per poi diminuire a 76, rispettivamente a 72 milioni, a seconda degli scenari, nel 2050. Per la Svizzera, gli scenari a disposizione sono ancora ottimistici. La sua popolazione, che era di 8,3 milioni di abitanti nel 2015, a seconda dell’evoluzione del saldo migratorio, potrebbe salire fino a 10,7, 10 o solamente 9,3 milioni fino al 2045. Ma questo non aiuterà molto la nostra economia perché ad aumentare sarà esclusivamente la fascia di popolazione con più di 65 anni.
Mentre gli altri paesi europei dovranno occuparsi di determinare quel che potrebbe succedere se la popolazione dovesse, tra qualche decennio, cominciare a diminuire in modo significativo, per la Svizzera si tratterà di stabilire che cosa potrebbe succedere, se il rapporto tra la popolazione che lavora e quella inattiva dovesse ridursi della metà o giù di lì. Che poi la cecità di coloro che chiedono una limitazione dell’immigrazione potrebbe anche peggiorare le cose è un aspetto che, per il momento, i demografi che fanno le previsioni di evoluzione a lungo termine ancora non hanno provato a tenere in conto. L’invecchiamento della popolazione che si manifesterà nei prossimi decenni, con il peggioramento del rapporto tra popolazione attiva e inattiva, avrà conseguenze indesiderabili. In primo luogo fragilizzerà il finanziamento del nostro sistema pensionistico che non potrà sopravvivere se non accettando di essere drasticamente riformato. Attenzione però a ridurre le rendite perché se, come tutto sembra indicare, i tassi di interesse continueranno a restare bassi, è probabile che le rendite del secondo pilastro scenderanno, per molti pensionati, a livelli così bassi da precipitarli nella povertà. L’invecchiamento della popolazione renderà poi più difficoltoso, di quanto già non sia, il finanziamento dei costi della salute.
Chi scrive non è per niente ottimista in relazione all’evoluzione in questo settore. Ora c’è chi parla di fissare un tetto per l’evoluzione di questi costi. Fissare un tetto per i costi della salute significa o peggiorare le prestazioni o rinunciare a certe prestazioni visto che finora non si è mai riusciti a contenere l’aumento dei costi in questione al disotto del tasso di crescita del prodotto interno lordo. Le cose non stanno mettendosi bene. Per l’invecchiamento della popolazione la domanda di prestazioni al settore sanitario rischia di esplodere. Nel medesimo tempo non ci saranno più le risorse finanziarie necessarie a finanziare l’aumento di prestazioni richiesto. Anzi, se poniamo un tetto all’evoluzione dei costi sanitari, dovremo cominciare a ridurre o a contingentare le prestazioni. A tutti fa paura lo scenario della medicina a due classi. Tutti dovremmo quindi essere pronti a discutere in modo serio le possibili alternative. Abbiamo ancora qualche anno a disposizione per introdurre correttivi. Ma non di più!