Quello che sverna e quello che torna

/ 12.02.2018
di Ovidio Biffi

Ho un amico che dai primi di dicembre sverna in Madagascar. Dopo numerosi soggiorni brevi sempre sulla stessa isola, quest’anno ha voluto entrare nel club di quelli che vogliono evitare l’inverno, il gelo, la neve. Di sicuro l’operazione gli è riuscita, visto che resiste. Ma il bilancio, probabilmente, non sarà quello agognato. A partire dalla meteo: una serie di monsoni ed altri fenomeni atmosferici tropicali si sono dati convegno per tutto dicembre e buona parte di gennaio tra Mauritius e la «Grande île», cioè il Madagascar. Piogge e cicloni non rallegrano certo le giornate, nemmeno a uno come il mio amico, che di sicuro ha studiato bene ogni scenario prima di prendere la decisione. Mi aveva lasciato confidandomi di essere equipaggiato per mantenere collegamenti e contatti. Anzitutto: niente portatile, perché lì sono come i Rolex a Napoli, roba che può spingere i lestofanti persino a sfondare una parete dell’appartamento, mentre tu sguazzi spensierato nelle acque turchesi della baia. Quindi: solo un cellulare, ovviamente munito di app e attrezzato per i vari Skype, WhatsApp, eccetera.

Primo mese ok, tant’è che ho potuto seguire anch’io il convegno dei cicloni. Improvvisamente ecco un ahi, ahi, ahi micidiale dal mio amico: a Capodanno gli hanno rubato il cellulare e i contatti sono stati retrocessi su un prepagato che non è «smart», quindi incapace di eseguire le manovre fantastiche del suo iPhone (nel frattempo recuperato, versando un... obolo/riscatto, ma inutilizzabile visto che Swisscom è stata giustamente veloce nel bloccare il suo numero...). Senza indirizzi in rubrica, senza app e senza socialmedia, ecco un’emergenza che non poteva aspettarsi. Anche se il maltempo è cessato, sarà difficile per lui svernare nel modo più classico, quello che sognava quand’è partito. Anche perché nel frattempo è giunto un secondo ahi, ahi, ahi. Verso metà gennaio, un mattino alle 4 vengo svegliato dal telefono che squilla. Poiché io e mia moglie continuiamo a vivere senza cellulari, è naturale che lo squillo del telefono in piena notte sia rimasto del tutto simile allo sparo per centometristi: corsa (per quel che la stazza consente..) fino al telefono fisso, in tempo per vedere un 0026... che già in serata era comparso sul display, suggerendo però di evitare contatti per timore di chiamate potenzialmente a pagamento... Ma alle 4 del mattino anche i call center concedono tregua. Così non ho resistito. Dall’altro capo del telefono sento solo qualche rumore. Poi la prolungata assenza di voci mi spinge a bloccare il contatto. Controllando il numero, realizzo che è quello del prepagato malgascio. Un po’ allarmato, decido di rifare io, subito, la chiamata e dopo qualche tentativo sento l’amico in Madagascar. Sorpreso, mi assicura di non aver digitato il mio numero; dice di aver solo cercato il cellulare per vedere che ora fosse e di essere uscito a scrutare il cielo... Non oso dirglielo, ma probabilmente compiendo quella ricerca ha attivato anche il numero fatto la sera prima e... lo sparo per la mia corsa mattutina. Mi sono anche chiesto: sarà un segnale delle difficoltà che sta incontrando avendo perso ciò che la tecnologia gli garantiva?

Le ricerche sull’uso degli smartphone sinora hanno preso in considerazione quasi esclusivamente i «millennials», cercando di appurare o misurare la loro ormai accerta perdita di concentrazione, gli effetti negativi su educazione, memoria, relazioni... Solo ultimamente la lente si è spostata su conseguenze più critiche, toccando altri effetti, come ad esempio la salute mentale. A inizio anno ha suscitato emozione e aspri commenti un lungo articolo sulla rivista «Atlantic», in cui una ricercatrice dell’Università di San Diego dà la colpa alla tecnologia per l’aumento di casi di depressione e di suicidi fra gli adolescenti. Davanti a simili angosciose problematiche è comprensibile ed anche giusto che ricercatori e scienziati sinora non abbiano pensato di estendere le loro analisi anche a eventuali effetti sugli anziani. Ma seppur banale, la vicenda del mio amico in Madagascar si presta a qualche osservazione. Ad esempio aiuterebbe a far luce sul divario esistenziale fra la nostra società dei multimedia, che beneficia di un’informazione a 360 gradi e pressoché istantanea, e quella delle popolazioni che solitamente ospitano i turisti, soprattutto quelli che «svernano» in Paesi situati nella fascia dei Tropici in cui le moderne tecnologie ancora non hanno mutato abitudini e regole di vita delle popolazioni. Oppure potrebbe indicare i potenziali pericoli che, anche se non come i giovani, gli ultra settantenni devono affrontare se subiscono una forzata privazione dalle nuove tecnologie. Conclusione: mi sa che diventerà interessante interrogare l’amico sui mesi di (forzata) astinenza dagli smartphone quando, lasciato il mare di Nosy Be e il prepagato malgascio, rientrerà in Ticino.