Quel vento che offusca la ragione

/ 12.02.2018
di Aldo Cazzullo

I fatti di Macerata, dove un fascista ha sparato contro i migranti (e la sede del partito democratico), sono stati molto commentati in rete. L’impressione è che il plauso («Traini patriota») abbia prevalso sulle condanne nette, senza se e senza ma. Moltissimi i distinguo. Si va da «i neri se la sono cercata» a «colpa del governo che ha riempito l’Italia di migranti». Di fronte a simili concetti, è difficile trovare parole che non vengano strumentalizzate. È evidente che il problema c’è. Gli italiani sono esasperati. La rotta del Mediterraneo va chiusa, gli scafisti vanno fermati. Ma è altrettanto evidente che il ricorso alla violenza va condannato nel modo più assoluto. Troppo alto è il rischio di emulazione. Che a sua volta genera il rischio di una risposta. L’Italia entrerebbe in una spirale terribile.

Personalmente sono rimasto turbato nel vedere la bandiera sulle spalle di Traini. Dovrebbe essere un reato: appropriazione indebita di tricolore. Perché è ripugnante vedere il vessillo che rappresenta un popolo addosso a un aspirante stragista.

Lo ripeto, però: il rischio che Luca Traini trovi emulatori esiste. Non c’è soltanto il tifo della rete, prevedibile eppure inquietante. Ci sono altre menti fragili che da quel gesto, e da quell’uso del tricolore, possono essere suggestionate. Per questo è importante ribadire che nessun simbolo condiviso, neppure la bandiera, può alleggerire anche solo di un soffio la gravità di quel che Luca Traini ha commesso. Sparare a innocenti è di per sé odioso; farlo con il tricolore e in suo nome lo è se possibile ancora di più.

Non so come sia la situazione in Svizzera: ogni volta che ci vengo, ho l’impressione di un Paese dal patriottismo antico e consolidato, spesso allargato anche agli immigrati dall’estero. In Italia la condivisione dei valori e dei simboli della patria non è né scontata né recente. Ci fu un tempo in cui il tricolore era visto come un segno di parte. La sinistra considerava il patriottismo un retaggio della reazione. La Lega ha invitato a fare del tricolore un uso improprio. Poi qualcosa è accaduto. Il lavoro politico e culturale di Carlo Azeglio Ciampi. La riscoperta dell’inno di Mameli. Il successo dei 150 anni dell’unità d’Italia. La tessitura contestata ma tenace di un filo che va dal Risorgimento alla Costituzione, attraverso la Grande Guerra e la Resistenza. Il risveglio di un sentimento che non andava creato, ma ritrovato: perché gli italiani sono più legati all’Italia di quanto pensino.

Il tricolore addosso a un assassino suscita repulsione, ma in ambienti esasperati e suggestionabili può anche suscitare condivisione. È un pericolo che si supera da una parte ripristinando la legalità, fermando i trafficanti di esseri umani e di droga; dall’altra combattendo il razzismo nelle scuole, in famiglia, sui media, in rete, nei tanti luoghi in cui si costruiscono ogni giorno l’idea e la consapevolezza di essere italiani.

Purtroppo il clima della campagna elettorale non aiuta. Paradossalmente sia la gaffe sulla «difesa della razza bianca» del candidato leghista alla Regione Lombardia Attilio Fontana, sia l’orrendo episodio di Macerata sembrano aver rafforzato nei sondaggi il centrodestra. Il vento spira chiaramente in quella direzione. E a volte offusca la ragione.