Mia moglie un giorno dello scorso dicembre mi ha chiesto quale libro avrei gradito come regalo di Natale. Avuta una risposta evasiva, spinta forse dalla speranza di riuscire a distogliermi, almeno durante le festività, dagli schermi del Mac e dell’iPad, diventa più precisa: «Ho visto che è uscito un nuovo libro di Flaiano, quello non ti piacerebbe?». Provo a svicolare con una scusa abbastanza banale: «Non lo so... Ho paura che sia una raccolta di suoi lavori che posso trovare nei vari libri di Flaiano che ho già». La storia prosegue prima in una libreria in centro a Lugano, si interrompe un po’ dopo aver appreso che non hanno più il libro e devono ordinarlo, infine si conclude con l’arrivo e l’acquisto del nuovo L’occhiale indiscreto, titolo che riprende quello di una rubrica tenuta da Flaiano su «Il Secolo XX» dall’ottobre 1945. Bastano uno sguardo e un nome a fugare i miei timori: curatrice della raccolta è sempre Anna Longoni, quindi ho garanzia di testi inediti o quantomeno difficili da reperire in edizioni recenti.
Non è mia intenzione lanciarmi in una recensione di questo nuovo Adelphi. Anzitutto perché ritengo difficile far meglio di quanto propone la curatrice Longoni che con una postfazione chiude la raccolta. Una certezza che trova conferma in questi suoi giudizi sul giovane Flaiano: «La voce è quella di chi è spinto alla satira dall’indignazione (…) a trattare i vizi minori per alludere ai vizi maggiori (…) racconta il recente passato e osserva, tra speranze e delusioni, il confuso presente». Ad Anna Longoni tre pennellate bastano per raffigurare lo scrittore pescarese e io credo di poter aggiungere solo un’impressione personale: sin dai primi articoli, scritti per la rivista «Documento» in pieno regime fascista, quindi in tempi assai difficili per stampa e scrittori non genuflessi, si incontra un Flaiano già perfetto anche nel padroneggiare la verve satirica (che però «ferisce per risanare», precisa ancora la Longoni) poi confermata ed eccentricamente affinata nelle innumerevoli successive carte disperse.
A far nascere l’idea di parlare di questo libro è stata la scoperta che Flaiano continua a dirci qualcosa di stretta attualità. All’inizio me lo suggeriva un collegamento «cantonticinese», segnatamente con la crisi di appartenenza politica e di fedeltà identitaria ai partiti. In breve: alcuni scritti sono stati pubblicati su una rivista semi clandestina creata nella primavera del 1944 da Mario Pannunzio che aveva come titolo «Risorgimento liberale». Proprio questa intestazione deve avermi portato a pensare a quanto sarebbe utile una rivista come quella di Pannunzio per sostenere un risorgimento del liberalesimo ticinese, sempre più provato «dal molto traffico sulla via di Damasco» e dai «troppi Saul che si disarcionano al minimo scarto dei loro cavalli». La spinta aumentò scoprendo collegamenti anche con i più assordanti momenti della politica della vicina Repubblica. Definirli «momenti» è inadeguato, visto che è da più di un decennio che l’Italia è costretta a subire continui sottosopra, con partiti e coalizioni populiste impegnate non a risolvere problemi e lacerazioni che si accumulano, ma soltanto a muoversi contro qualcuno o contro qualcosa. Abbinando il caos permanente del panorama sociopolitico italiano con il fatto che ormai pochissimi intellettuali riescono a tenere viva sui media una fiammella critica, l’attualità del Flaiano «che ferisce per risanare» mi è subito apparsa degna di essere riproposta. In particolare una serie di scritti pubblicati nella rubrica «Carta bianca», in cui lo stile pungente dello scrittore si sofferma su cronache minute, quasi banali rispetto a quanto sta avvenendo nell’Italia divisa (il nord con i nazisti in rotta e Mussolini avviato verso il tragico declino, il sud con gli Alleati che iniziavano la riconquista). Seguendo questa maestria nel mettere in luce «fatterelli», ci si tuffa in brevi e a volte trascurabili cronache sulla gente e sulla vita quotidiana che spesso e improvvisamente diventano acutissime frecce in grado di vivisezionare anche le svolte sociali, morali e politiche del paese. Una prova della sua capacità di suggerire al lettore proiezioni (utili anche dopo tanti decenni) la fornisce in questo pezzo breve: «“Il fascismo è morto per sempre” dichiara signor Z alla moglie. “Però se fossi al governo farei attenzione lo stesso... Così, a occhio e croce mi sembra che la rivoluzione fascista sia stata rinviata a causa del cattivo tempo”. Poi ci ripensa e aggiunge: “Vedi, cara, il fascismo è il diabete di molti italiani, è una malattia del ricambio...”». Ecco quel che Flaiano torna a dirci dell’attualità con la sua straordinaria forza dell’ironia, la stessa con cui alcune pagine dopo tocca il capolavoro quando, in poche righe, traccia un perfetto riepilogo della parabola del Duce semplicemente elencando i cappelli da lui indossati durante il ventennio.