Quel che «Cult» riesce a fare

/ 09.04.2018
di Ovidio Biffi

Nel commento al voto sull’iniziativa No Billag, partendo dalla consapevolezza che la SSR «non sarà più la stessa cosa», sostenevo che l’ente radiotelevisivo dovrà comunque riformarsi sino a mutare pelle, se non natura. Le avvisaglie di questo cambiamento ci sono già, anche se tutte da accertare, e lasciano intendere che in futuro il concetto di servizio pubblico dovrà essere esteso a tutti i media, compresa la stampa scritta. A livello nazionale questo ampliamento si è avviato con l’accordo fra SSR, Swisscom e l’editore Ringier per una piattaforma in comune riguardante la raccolta pubblicitaria, guarda caso la principale entrata per i media che non beneficiano del canone radiotelevisivo. Torno su questo tema per evidenziare quella che mi sembra una prova, certamente minore ma non per questo trascurabile, di come anche nella Svizzera italiana la stampa scritta risulti importante per radio e televisione.

I fatti, dapprima. Proprio alla vigilia del voto sulla iniziativa No Billag la rivista «Cult», curata dalla RSI e riservata ai soci del benemerito Club Rete Due, è stata distribuita a tutti i fuochi (sta scritto «della regione», ma v’è da credere che abbia raggiunto tutta la Svizzera italiana) oltre a tutti i luoghi legati alla cultura e, ovviamente, ai soci. Le migliaia di copie non sono state elargite per celebrare un anniversario che nessuno festeggerebbe (4 anni) e nemmeno per un bilancio sul lavoro svolto (con ammirevole dedizione e bravura, va detto di transenna) da chi la redige. Lo ammette con schiettezza nel suo commento anche la redattrice responsabile Sandra Sain: la distribuzione capillare era essenzialmente legata al fatto che «questo marzo 2018 per noi della Rete Due, come per tutta la RSI e la SSR-SRG, ha un valore particolare e rappresenta una data che porta con sé uno spettro, qualche paura e mille speranze». Nessuno può dire se l’operazione sia stata elemento decisivo del No ticinese. Di sicuro sarebbe però errato «vedere» questa iniziativa solo come puro marketing elettorale e non come segnale di avvicinamento del pianeta RSI alla stampa scritta.

Se chi legge ha un’età che gli consente di ricordare il panorama editoriale cantonale perlomeno sino a inizio anni Sessanta, non faticherà a risalire nei fatti sino al ricordo di una RSI che ogni settimana stampava un suo organo ufficiale. Era il «Radioprogramma», che sin dagli albori si premurava di informare i radioascoltatori su quanto avveniva alla RSI, soprattutto nell’ambito dei programmi culturali e popolari. Infatti non solo presentava i programmi, ma anche interessanti segnalazioni e trascrizioni di alcuni dei temi proposti nelle trasmissioni radiofoniche. Con l’arrivo della televisione e l’aumento dei canali radiofonici subentrò «Radiotivù», rivista settimanale che concluse la sua esistenza quando gli editori dei principali quotidiani ticinesi decisero di offrire ai propri lettori i programmi della RTSI gratuitamente. Da allora l’ente radiotelevisivo, nonostante un bilancio lievitato oltre i 200 milioni di franchi, nonostante battaglioni di esperti di comunicazione alle sue dipendenze, non ha più avuto e nemmeno ha mostrato di sentire la necessità di avere un piede (figuriamoci il cuore) nella stampa scritta. Oggi un paradosso mostra che l’operazione centrata sulla rivista di Rete Due è un’iniziativa che ricollega il mensile culturale «Club» con l’antico «Radioprogramma»: proprio come Mark Zuckerberg che non esita a comprare pagine pubblicitarie sulla stampa scritta per difendere il suo impero digitale, anche la RSI – pur avendo in casa tutte le più moderne tecnologie mediatiche, dai microfoni alle telecamere, dal podcast allo streaming e ai social –, di fronte alla necessità di mobilitarsi, ha affidato a una delle sue più piccole risorse, la rivista «Cult», un importante ruolo al cospetto di «uno spettro, qualche paura e mille speranze» (sono parole che, come detto, Sandra Sain ha inserito nel suo messaggio, facendo riecheggiare l’antico «verba volant, scripta manent»).

Per finire, spiego il movente del mio intervento. Come detto in apertura il trend in atto, sostenuto dai dirigenti SSR e dalla maggioranza delle forze parlamentari, è quello di puntare a riforme che diano nuova linfa al servizio pubblico radiotelevisivo. Purtroppo sinora la via più praticata sembra quella dei tagli, scelta che accontenta i critici, ma fa aumentare i rischi che si penalizzino fortemente le «cose piccole». E visto che in Ticino e per la RSI esistono progetti che prospettano la rinuncia a Rete Due, è possibile che anche la rivista «Cult» possa essere minacciata di chiusura. Ecco: la rievocazione di questo episodio «minore» della vicenda No Billag è essenzialmente volta a stigmatizzare questo pericolo. Anche perché, lo confesso, a me non spiace l’idea che «Cult» possa diventare un giorno il periodico «ufficiale» di una moderna RSI o del servizio pubblico di tutti i media ticinesi.