«Scarpe grosse cervello fino»: lo si diceva, un tempo, per qualificare i montanari. Ma sarà vero? Diciamo subito che la verifica di tale asserzione è assai ardua. Dovremmo ricorrere alla frenologia, scienza che nel diciannovesimo secolo conobbe una certa fortuna in base all’ipotesi che fosse possibile dedurre i caratteri psichici di un individuo dalla conformazione cranica… Terreno minato, meglio esplorare il passato, il contributo che l’area alpina, inclusa la valle di Blenio, dette alla formazione della «repubblica e stato» del canton Ticino. Già solo un rapido sguardo alla valle del Sole rende l’idea di quanto sia pregiato il blasone, nomi come Bolla, Bertoni, Genucchi, Gianella, Pagani, Biucchi, Beretta, Donetta… I villaggi ambrosiani fornirono un bel contingente di teste pensanti, e non solo vetrai, facchini, mungitori, castagnai, pontieri al servizio di Napoleone… Certo, molti dovettero lasciare la casa natale per guadagnarsi il pane nel vasto mondo. La vicenda di Mosè Bertoni in Paraguay desta ancora oggi stupore, oltre che l’interesse della comunità degli studiosi su entrambe le sponde dell’Atlantico; meno nota, ma altrettanto affascinante, la vita del cugino Luigi (Louis), agitatore anarchico a Ginevra tra Otto e Novecento.
Nel patto di Torre, siglato nel 1182 tra Blenio e Leventina, alcuni medievisti intravidero la scintilla libertaria che un secolo dopo avrebbe provocato la rivolta di Uri, Svitto e Untervaldo contro gli emissari degli Asburgo. Nel 1941, in pieno clima resistenziale al nazifascismo trionfante, Giulio Rossi ed Eligio Pometta vollero sottolineare con forza questo innato anelito nella loro Storia del Canton Ticino: «Nelle alte Valli ticinesi questi moti di liberazione dai signori e dai paesi feudali erano maturati molto prima che non nei paesi silvani; ma colà essi ebbero una portata unicamente locale, mentre nella regione al di là del S. Gottardo conseguirono uno sviluppo così brillante e positivo da porre le fondamenta di un edificio politico che dura oggi ancora».
Esageravano naturalmente, ma sotto quella cappa opprimente insistere sulla ribellione e l’amore per libertà aveva un senso ben preciso; altri autori, come Guido Calgari e Reto Roedel, avevano evocato le Alpi come «sorgente di vita morale», come spazio genuino ed incorrotto, in antitesi ai vizi e alle sregolatezze che invece caratterizzavano la città.
Sul piano della rappresentanza politica a Berna, finora ha prevalso la montagna. Consideriamo la presenza dei leventinesi in Consiglio federale, il collegio esecutivo supremo della Confederazione: Stefano Franscini, Giuseppe Motta, Enrico Celio, Nello Celio; se aggiungiamo i locarnesi (Giovan Battista Pioda e Flavio Cotti), il numero dei sopraccenerini sale a sei. Il Sottoceneri si è finora dovuto accontentare di due esponenti: Giuseppe Lepori e Ignazio Cassis. Segno che le teste non erano così quadre come spesso si è inclini a pensare...
Tornando alla val Blenio, non sarà inutile ricordare la figura e l’opera di Vincenzo Dalberti, abate nato a Milano ma originario di Olivone, al quale lo storico Alessandro Ratti ha dedicato un profilo che vedrà la luce in volume l’anno prossimo. Dalberti fu, dal 1803 al 1814, la guida effettiva del neocostituito cantone, una scheggia di terra che si ritrovava sulle spalle un fardello gravosissimo, dalla rigenerazione della macchina legislativa e amministrativa al riassetto della rete viaria, dalla riorganizzazione del sistema scolastico e sanitario ad una maggiore integrazione dell’economia locale nel circuito nazionale. Il carteggio che egli intrattenne con il liberale zurighese Paul Usteri ci appare come un monumento di interessi, passioni, curiosità, interrogativi; uno scambio di lettere che accompagna la faticosa costruzione di un cantone appena uscito da tre secoli di sudditanza.
Ad aiutare la giovane repubblica a muovere i primi passi vi fu dunque un sacerdote; un chierico di idee moderatamente liberali; in seguito gli equilibri politici mutarono. Dopo il 1830 il testimone passò al movimento liberale e democratico, capeggiato questa volta non da un bleniese, ma da un leventinese: Stefano Franscini. Anch’egli si era formato a Milano. Come tanti giovani promettenti avrebbe dovuto intraprendere la carriera ecclesiastica. Come sappiamo, preferì imboccare un’altra strada per occuparsi di glottologia, didattica, educazione, statistica, diritto, nella persuasione che per governare bene occorresse conoscere il paese a fondo.
Non erano teste di legno, questi due, ma teste ben fatte.