Andarsene, ma sempre con la prospettiva di poter rientrare in patria: è quella forma di emigrazione garantita, che spetta ai cittadini elvetici, alla stregua di un diritto acquisito. Con conoscenza di causa, Walter Leimgruber, docente di Scienza delle culture ed Etnologia europea a Basilea e presidente della Commissione federale per l’emigrazione, lo definisce, appunto, un privilegio, che, però, continua a essere sottovalutato e persino frainteso. Infatti, come ha ribadito, in una recente dichiarazione, per altro controversa, persiste un tenace tabù: i nostri concittadini, che decidono di affrontare l’incognita di un’esperienza altrove, rischiano addirittura di passare per «traditori della patria». Giudizi, che possono sembrare estremi, ma risuonano sempre. In pratica, la scelta di voltare le spalle alla tranquillità e al benessere del paese, statisticamente il più ricco del mondo, sconcerta l’opinione pubblica. In altre parole, come rileva Leimgruber, anche nell’era globale, il vero svizzero rimane, per tradizione, un sedentario, uno che stenta persino a spostarsi da una località o da una regione all’altra. Figurarsi, poi, quando il salto concerne nazioni e addirittura continenti lontani.
Insomma, a contrastare la voglia di partire, è un retaggio di tradizioni e di mentalità, anche se la Svizzera, paradossalmente, è sempre ai primi posti nelle classifiche mondiali, per spirito innovativo, soprattutto nell’ambito tecnologico. E, se ne rendono conto quei giovani svizzeri, fra i 20 e i 35, con un buon livello d’istruzione, quando fanno sapere di voler partire: si scontrano, nel loro ambiente familiare e sociale, con un’inattesa barriera di ironie e presagi negativi, provocata da quella che gli psicologi definiscono «l’apatia da benessere». Ed è l’incapacità di capire che, dietro a una scelta professionale e a una scelta di vita possa esserci il bisogno di cambiare e di osare superando i limiti rassicuranti del buon senso e del prevedibile.
In proposito, sono rivelatrici le dichiarazioni dei diretti protagonisti di queste esperienze: giovani e meno giovani emigrati nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Australia, in Nuova Zelanda, e negli ultimi tempi anche in Cina e nel Sudest asiatico: confermano l’aspirazione a nuove dimensioni, aperte a carriere, attività, iniziative, persino invenzioni alle quali la Svizzera avrebbe messo il freno di una certa seriosità.
Con ciò, figurarsi, attenti alla retorica di segno opposto. Non è che ogni altrove, e tanto più se lontano, risvegli talenti originali: non s’intende, certo, esaltare le virtù del rischio. Però, dai casi di questi emigranti elvetici che, sfidando i vari «non ce la farai», se la sono cavata, e come, oltre frontiera, si deve ricavare una lezione: un incentivo utile proprio per i cultori della sicurezza, quali siamo.
Con la sua risaputa verve provocatoria, il professor Leimgruber ha lanciato una sorta d’imperativo: «Tutti gli svizzeri dovrebbero emigrare, una volta nella vita». Suscitando risentimenti, ai quali, del resto, non è nuovo. A suo tempo, aveva messo in discussione il concetto di «suissetude», o «svizzeritudine». Una «purezza nazionale» sconfessata dai numeri: il 40 per cento degli svizzeri ha un genitore di origine straniera.
Infine, per tornare al tema dell’emigrazione elvetica, è difficile misurare il reale grado di appartenenza alla patria d’origine, nella cosiddetta Quinta Svizzera. Si tratta di una variegata compagine di ben 760’000 cittadini, e in continua crescita, spesso con doppia nazionalità, che nell’altrove hanno messo radici e che si sono mossi, sotto l’urto di esigenze diverse, mutate nel corso della storia, ma fino a un certo punto. Il fattore finanziario ha sempre avuto la sua parte, sin dai tempi dei nostri validi mercenari. Anche oggi si varcano le frontiere per motivi pecuniari.
Un’ondata recente, che risale agli ultimi decenni, concerne gli emigranti della terza età, che hanno scelto paesi, accoglienti per clima e costo della vita, dalla Thailandia al Portogallo. O, magari, a pochi chilometri di distanza dal Ticino: a Porlezza o in Brianza, dove la pensione in franchi rende di più.