Sono stato vittima di Carosello. Ci pensavo leggendo il libro di Vito Molinari Carosello … e poi tutti a nanna, uno studio su questa impresa unica nel suo genere durata dal 1957 al 1977. Carosello è stato un prodotto tipico dell’Italia democristiana, incline al compromesso, in nome di una pace sociale. La programmazione televisiva debutta in Italia il 3 gennaio 1954 ed è lo stesso Vito Molinari, prossimo a compiere 90 anni, a tenerla a battesimo. La Rai opera in regime di monopolio e, poiché esige un canone di abbonamento (tuttora in vigore) non dovrebbe ricavare introiti dalla pubblicità. Il mondo industriale preme e anche i contabili dell’azienda.
Così nasce questo teatrino, in onda tutte le sere alle 20.50 dopo il telegiornale, della durata di dieci minuti, composto da quattro scenette della durata di un minuto e 45 secondi l’una, più un «codino pubblicitario» di 30 secondi. Dal 1961 le scenette diventano 5. Il prodotto pubblicizzato poteva essere visto e nominato solo nel codino. Secondo «Le Figaro»: Carosello è stato il contributo più originale dato dall’Italia alla storia della televisione. Nel 1957 avevo vent’anni e qualcosa di meglio da fare che guardare lo schermo di un televisore che, tra l’altro, sarebbe entrato in casa nostra solo due anni dopo. Ho scoperto di essere una vittima di Carosello nel 1965 quando mi sono trasferito a Roma.
Ogni volta che aprivo bocca, nelle riunioni di lavoro o nelle chiacchierate con i colleghi, c’era sempre qualcuno che mi faceva il verso dicendo, con voce cantilenante: «Lo vedi come sei?», imitando il grande Erminio Macario, presente fin dalla puntata inaugurale del 3 febbraio 1957, testimonial dello Stock ’84. Mentre la televisione di Stato realizzava con successo l’unificazione linguistica dell’Italia, portando per la prima volta tutti i cittadini a parlare lo stesso italiano e a capirsi, gli autori delle scenette su Carosello facevano parlare i personaggi comici nei vari dialetti al fine di renderli più simpatici e facilitare l’identificazione degli spettatori. Erano presenti tutte le parlate, con picchi rappresentati da veneto, napoletano, romano e siciliano.
L’italiano senza inflessioni dialettali era presente ai piani alti della cultura, con letture di poesie affidate a Nando Gazzolo, Vittorio Gassmann, Arnoldo Foà, confermando negli spettatori l’idea che si trattava di una lingua aulica poco adatta alla comunicazione famigliare. I numeri sono impressionanti: in venti anni sono stati realizzati 35 mila episodi che messi uno in fila all’altro totalizzano quasi 30 ore di proiezione. Che idea si farebbe dell’Italia di quegli anni un alieno che avesse solo quel film a disposizione? Quella di un popolo che si abbandona ai sogni, in grado di reggere ai bruschi risvegli con l’aiuto di qualche prodotto miracoloso. Un popolo ossessionato dalla pulizia, disposto a patire la fame pur di dotarsi di detergenti, diversificati in base al prodotto da pulire.
Tutti profumati, così quando Mina estrae dalla lavatrice gli indumenti li odora voluttuosamente. Ma solo il colletto delle camicie, mai un paio di mutande. Diceva Marcello Marchesi, geniale umorista e autore di 4000 sceneggiature per Carosello, che «l’Italia è una donna di facili consumi» e «la pubblicità è il commercio dell’anima». Per gli attori e i comici dell’epoca Carosello è stato una notevole fonte di reddito e uno strumento di notorietà. Tutti l’hanno fatto, soltanto due hanno rifiutato l’occasione di arricchirsi, Anna Magnani e Marcello Mastroianni.
Alcuni sono stati vittime di Carosello. Nel 1972 Paolo Ferrari è protagonista di uno spot girato in un grande magazzino: accosta le clienti alla cassa quando stanno per pagare un fustino di Dash e propone un cambio, ne offre due anonimi al posto di quello che stanno comprando e loro rifiutano, almeno tutte quelle poi mandate in onda. Lavoravo in quegli anni alla direzione programmi della Rai e prendevo parte alle riunioni nelle quali si decideva il cast dei protagonisti degli sceneggiati; posso testimoniare che ogni volta che qualcuno faceva il nome di Paolo Ferrari si alzava un coro di obiezioni: il pubblico l’avrebbe sempre visto con un fustino in mano. Succede sempre quando un testimonial ha troppo successo e viene identificato con il prodotto reclamizzato.
L’aspetto più esilarante dello studio di Molinari è l’attenzione posta sulla censura esercitata dalla Sacis, la concessionaria della pubblicità per la Rai. Nel 1960 un personaggio animato, ambientato nell’antica Roma, è «Caio Gregorio il guardiano del pretorio» e una frase fuori campo lo colloca «nell’anno 40 avanti Cristo». Bloccato, era vietato nominare il nome di Cristo. Fra le parole vietate: uccello, passera (passero era tollerato), membro (anche del Parlamento), non citare troppo la squadra del Benfica. Proibite le parole cardinale, catarro, depilazione, lassativo, organo, suora, water. Davvero qualcuno rimpiange quell’Italia?