Lo scontro tra l’Italia e l’Europa è destinato a non produrre nulla di buono. Alla maggioranza Lega-Cinque Stelle non importa molto della crescita, e neppure della manovra. A loro importano solo le elezioni europee del maggio 2019. Lo scopo della manovra non è creare lavoro, ricchezza, sviluppo; è comprare consenso. La speranza è che il voto della prossima primavera ribalti l’asse che ha retto l’Europa – e la Germania – in questi anni, vale a dire l’alleanza tra popolari e socialisti, per sostituirlo con un accordo tra popolari e populisti. Nell’attesa, l’Italia rischia di pagare un prezzo altissimo. E anche la coalizione di governo corre qualche rischio.
Il vincitore è Matteo Salvini. È stato lui a imporre la controriforma delle pensioni, che inverte una tendenza giusta e inevitabile: andare in pensione più tardi. Ora si andrà in pensione prima, con conseguenze nefaste sui conti pubblici: in Italia c’è già troppa gente in pensione, e troppa poca che lavora. Ma la grande vittoria politico-culturale della Lega è una manovra piena di condoni, pensata per il suo elettorato; che però fa a pugni con i proclami lanciati da anni da parte del movimento di Grillo.
È normale che, una volta al governo, una forza di protesta versi acqua nel vino delle sue parole-chiave. I Cinque Stelle ne avevano due. La prima è il Vaffa, di cui non abbiamo nostalgia (anche se talora il tic del linguaggio violento e aggressivo ritorna pure dietro le cravatte ministeriali). La seconda è «onestà». Nobile concetto, non proprio onorato da una manovra che consente agli evasori di rientrare in regola versando una frazione del dovuto, o addirittura nulla per le cartelle esattoriali sotto i mille euro. E i contribuenti che hanno regolarmente pagato? Be’, dovrebbero sapere che il mondo, o almeno l’Italia, è dei furbi, non degli onesti. Perché allora sanzionare chi prenderà il reddito di cittadinanza e lavorerà in nero? C’è qualcuno che crede seriamente alla galera per gli elusori, minacciata da Di Maio? O sono già partiti i cantieri di nuove supercarceri?
Si potrebbe obiettare che la «pace fiscale» è solo un dettaglio della manovra, visto che non prevede grandi spostamenti di risorse: è un modo per alleggerire famiglie e piccole imprese vessate dal fisco anche negli anni più bui della crisi; e, beninteso, per acquisire consenso, magari con i soldi dei contribuenti che onesti lo sono davvero. Purtroppo è proprio il consenso il cardine della «Manovra del Popolo», come la chiama Di Maio, che ormai si sente Marat. E il consenso per i populisti continuerà a crescere. Almeno fino a quando i nodi dei conti pubblici e della stagnazione economica non verranno al pettine.
La situazione del Paese, infatti, è molto grave. Il Sud è fermo. Il Nord fatica. In questo strano autunno caldo le città italiane sono state invase da turisti stranieri che girano in bermuda e infradito, come se fossero a Ibiza a luglio. Il turismo è l’unico settore davvero in crescita. Per il resto, l’economia non si è ancora davvero ripresa dalla grande crisi. E spendere di più in assistenzialismo non è il modo giusto per ripartire.
L’Europa lo farà notare, bocciando la manovra del governo italiano. Ma in questo modo regalerà ai populisti un’arma in più per la loro campagna elettorale. Juncker e Moscovici sono ormai delegittimati. Salvini irride il presidente della Commissione europea tutti i giorni, dandogli dell’ubriacone. Non è certo un atteggiamento consono all’interesse nazionale; ma è utile alla propaganda; vale a dire l’unica cosa che i dioscuri Salvini-Di Maio sanno fare bene. Prima o poi gli italiani si stuferanno anche di loro, quando vedranno che le promesse impossibili non saranno mantenute. Ma nel frattempo il Paese avrà pagato un prezzo altissimo all’esperimento gialloverde.