La grande riforma delle pensioni, «Previdenza 2020», è a un passo dal fallimento? Per superare lo scoglio del parlamento, questa è la settimana decisiva, venerdì ci sarà il voto finale, e ancora si oppongono due inconciliabili modelli – quello del Consiglio degli Stati e quello del Nazionale, espressione di due maggioranze diverse (agli Stati fra PS e PPD, al Nazionale fra UDC e PLR). Gli Stati hanno già preso la loro ultima decisione, ma ancora prima che ne discuta un’ultima volta il Nazionale risulta chiaro (visto il parere della propria commissione) che si arriverà ad una conferenza di conciliazione. Se in questo gremio si troverà in extremis un compromesso c’è ancora speranza che venerdì qualche parlamentare decida che una riforma riuscita a metà sia meglio di niente. Poi ci sarà ancora il voto popolare, poiché un referendum è già annunciato, non fosse che per evitare l’innalzamento dell’età di pensionamento per le donne.
Ricordiamo in sintesi i punti principali dei due modelli. A dare il là era stato il Consiglio degli Stati, ancora prima delle ultime elezioni federali, con un compromesso forgiato da due pesi massimi, il socialista Paul Rechsteiner e il democratico cristiano Urs Schwaller. Comprendeva la parificazione dell’età di pensionamento fra uomo e donna, la riduzione dell’aliquota di conversione per i capitali del secondo pilastro da 6,8 a 6 per cento, un aumento delle rendite AVS calcolato in 70 franchi e un aumento da 150 a 155 per cento della rendita per le coppie sposate, per compensare le perdite che gli assicurati subirebbero nella cassa pensione. Questo modello non ha però mai fatto breccia al Nazionale, poiché non risolverebbe i problemi finanziari che l’AVS avrà fra pochi anni, vista l’evoluzione demografica in atto. La maggioranza dei consiglieri nazionali (fermo restando l’abbassamento dell’aliquota di conversione LPP dal 6,8 al 6 per cento) è quindi contraria ad un aumento delle rendite AVS e preferisce compensare le perdite degli assicurati intervenendo direttamente con dei correttivi nella previdenza professionale; inoltre vuole introdurre un meccanismo secondo il quale, quando la cassa AVS supererà un determinato limite di indebitamento, l’età di pensionamento dovrà essere innalzata a 67 anni (dal 2035 in avanti). Un’altra divergenza riguarda l’innalzamento dell’IVA per finanziare l’AVS: gli Stati optano per un aumento di 1 per cento cui aggiungere un prelievo sugli stipendi degli assicurati dello 0,3 per cento, il Nazionale vuole solo un aumento di 0,6 punti dell’IVA.
Ma in tutto questo dibattito, pochi si sono accorti che nel modello degli Stati si è insinuato un cambiamento importante, che contraddice i principi introdotti dalla decima revisione dell’AVS: l’aumento da 150 a 155 per cento della rendita per le coppie sposate reintroduce un elemento del modello di famiglia tradizionale, mentre la decima revisione, con lo splitting (rendita AVS suddivisa fra uomo e donna, indipendentemente se la donna era attiva professionalmente) e gli accrediti per i compiti educativi e di assistenza, aveva adeguato l’AVS ai nuovi modelli di società. Se ne sono accorti però le ex deputate Lili Nabholz (PLR) e Gret Haller (PS), che tanto peso ebbero nel forgiare la decima revisione: con articoli sui giornali e interventi personali mettono in guardia da questo cambiamento di fondo. E offrono al contempo una soluzione che in conciliazione potrebbe aiutare a salvare la faccia di tutti e di correggere questo ritorno al passato: L’aumento al 155 per cento deve valere solo per le coppie sposate con figli, riconoscendo così i compiti educativi anziché il semplice fatto di convivere all’interno del tradizionale modello di matrimonio. Un monito e un’idea che meritano di essere considerati, anche in previsione del voto popolare.