Politica e telefonini

/ 02.10.2017
di Orazio Martinetti

Settembre è stato un mese febbroso, politicamente e civilmente. Tanti interventi, tante scaramucce. Due temi, l’uno nazionale, l’altro cantonale (elezione di Cassis e insegnamento della civica) hanno prodotto adrenalina a fiumi. L’eccitazione è stata generale sulla civica, a conferma di una disputa che non era tanto pedagogica quanto ideologica. 

Vedremo se il Ticino, dopo anni di sbandamenti, ritornerà in carreggiata. Speriamo che il neoministro degli Esteri permetta di riannodare fili che nel tempo si erano spezzati o quanto meno sfilacciati: verso la Berna federale, in primo luogo, ma anche verso Roma. L’impresa è tutt’altro che facile, il fardello tutt’altro che lieve, perché entrambe le strade sono costellate di tagliole. L’incognita maggiore, come si è capito negli ultimi decenni, riguarda le relazioni con l’Italia. La presenza di un consigliere federale ticinese italofono (italico) nel governo dovrebbe propiziare l’instaurazione di un clima più disteso. Dovrebbe. In realtà le due culture politiche hanno divorziato da tempo, soprattutto nel campo finanziario-fiscale. Italia e Confederazione sono entrambe repubbliche. Ma la prima rimane aggrappata al centralismo, mentre la seconda insorge ogniqualvolta Berna mostra di avocare a sé qualche competenza. Divergenze profonde sussistono inoltre nell’ambito burocratico-amministrativo, come sa per esperienza chiunque abbia percorso questa via confidando nel principio delle reciprocità.

Siamo nell’anno di Lutero e quindi non appare peregrino richiamare l’attenzione sull’etica protestante, centrale nell’opera del sociologo tedesco Max Weber. Le reazioni della stampa d’oltralpe, in particolare della NZZ, non sono estranee a questo humus storico-culturale. Di Cassis è stata apprezzata la franchezza sorretta da un vigore trasparente, tutte virtù tuttora coltivate dalle élite riformate. Merito, serietà, dedizione al lavoro, partecipazione ai comitati direttivi e alle commissioni interpartitiche rimangono centrali; in fondo non sono altro che valori secolarizzati, trasmigrati dalla religione all’agire politico.

Ignazio Cassis è inoltre il primo esponente svizzero-italiano a doversi misurare con l’era digitale (Flavio Cotti, eletto nel 1986, era ancora «analogico»). Un primo assaggio di questa svolta l’abbiamo vissuto nel giorno dell’elezione, con una mobilitazione dei media senza precedenti. Ormai nulla sfugge alle reti. Più si sale nella scala della popolarità e più la sfera privata si contrae. Ogni apparizione pubblica si trasforma in conferenza stampa, un’investigazione-intrusione che costringe l’interpellato a replicare con le medesime armi. Già Trump semina tweet a getto continuo, per cui pare legittimo chiedersi quando Twitter farà breccia nella comunicazione politica del Consiglio federale. 

Sul piano cantonale, l’ingresso di Internet nella campagna elettorale avvenne nel 1999: fu allora che i principali candidati al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio decisero di far allestire siti in cui illustrare ad amici e simpatizzanti la propria piattaforma programmatica. Allora non si era certi che la propaganda attraverso queste vie avrebbe fatto presa, sostituendo comizi, manifesti e veglioni. Pochi credevano alla morte definitiva della stampa di partito. Eppure proprio questo accadde: gli «organi ufficiali» chiusero i battenti o si trasformarono in bollettini interni, abbandonando ogni ambizione «generalista». 

Da allora il cruscotto tecnologico a disposizione dei candidati si è arricchito di nuovi strumenti, tanto da fondersi con l’utente. I cellulari sono diventati protesi intelligenti («smart») e quindi in grado di svolgere compiti prima assunti dall’assistente personale. Oggi buona parte della comunicazione ufficiosa passa attraverso questi canali, in collegamento diretto con la base, scavalcando le abituali mediazioni (congressi, assemblee, dibattiti). Secondo alcuni ha preso avvio l’era del «populismo digitale» (titolo di un recente saggio del sociologo Alessandro Del Lago). 

Trionfo della democrazia diretta? Non proprio. Perché come hanno dimostrato anche le ultime elezioni tedesche, la comunicazione digitale invita a reagire ma non a costruire consenso. Non mitiga le tensioni presenti nella società, ma le radicalizza aggiungendo una buona dose di malevolenza. Ricerche recenti hanno dimostrato che blog, Facebook, Twitter, Instagram, YouTube funzionano come sfogatoi del malumore sociale, che su temi come profughi, stranieri e criminalità assume toni da guerra civile. E già possiamo immaginare come sarà lo scontro politico al prossimo rinnovo dei poteri cantonali, in agenda nella primavera del 2019.