Poiché del doman non v’è certezza, viva la freschezza

/ 24.07.2017
di Maria Bettetini

Il sole non dà tregua. Appiccicati uno all’altro, i grandi filosofi della storia sono accalcati sotto gli ombrelloni della Spiaggia Mens-sana-e-basta, che da tempo immemorabile li accoglie ogni estate. Li abbiamo già incontrati, gli anni scorsi, e abbiamo anche capito che in verità si ritrovano tutti a Rimini, al bagno 11 e mezzo che è appunto il Mens-sana-etc. Avevamo visto Eraclito e Parmenide prendere un pattino per risolvere una volta per tutte il dilemma dell’acqua che non è mai la stessa, Hegel innalzarsi sopra tesi e antitesi trovando la sintesi nel seggiolone del bagnino di salvataggio, Nietzsche sudare negli abiti da montagna, nessuno gli aveva spiegato la differenza tra le rive del lago di Lucerna o dei Quattro Cantoni, – dove tra l’altro conobbe Wagner – e la riviera romagnola.

In Romagna, se soffia il vento di terra, il garbino o libeccio o africo, la spiaggia diventa una simpatica fornace per il vetro, con tutta quella sabbia di ottima qualità. Garbino o tramontana, oggi è caldissimo. Empedocle di Agrigento però non soffre, è abituato allo scirocco di Sicilia, che quando colpisce non lascia nemmeno la forza di dire «fa caldo». Discute quindi con Eraclito di Efeso – anche la terra turca sa essere discretamente soleggiata. Dice Eraclito che sentire l’aria calda gli fa ricordare l’origine del mondo, sorto dal fuoco, o forse dal logos, dalla ragione, se il fuoco non ne è altro che una metafora, con il suo incessante trasformarsi. Empedocle reagisce: non una sola volta si è formato il mondo, ma infinite, perché i quattro elementi, terra acqua aria e, appunto, fuoco non sono mai in equilibrio stabile, e passano dall’unione del più folle amore alla dispersione del feroce odio. Tra l’uno e l’altro, c’è questo mondo, dove amore e odio convivono.

Per dimostrarlo, sale su un pattino in secca, si dondola su uno dei due piccoli scafi o galleggianti, balza sull’altro, salta in mezzo per mostrare lo stato di equilibrio. Ma non si accorge di Cagliostro, che stava all’ombra e al buio sotto il natante, cercando di ottenere la pietra filosofale dalla sabbia. Per fortuna nessuno è superstizioso, perché il mago non si trattiene dal maledire tutti quei pensatori inutili. Gentaglia, di pochi si può essere amici in questa spiaggia, pensa raccattando le provette, di Giorgio (Gemisto Pletone), di Marsilio (Ficino), forse di quell’egiziano, Plotino, non fosse che per disprezzo del corpo non si lava mai e questo in estate non è proprio accettabile.

Il fracasso dell’incidente sveglia Platone, assopito per la calura (e per la mole). Ha sentito dire «fuoco» e vuole sottoporre ai colleghi i disegni di un italiano, ispirati al suo Timeo. Purtroppo sono macchiati da una granita al lampone, questo succede a portare i fogli in spiaggia. Comunque si vedono bene lo stesso, «carini» dice Wittgenstein, che sperava di essere il solo capace di tenere una matita in mano. «Ma li ha fatti uno di noi?». «No, risponde Platone, un pittore, un artista». Sospiro di sollievo generale, non è un filosofo ad aver così bene interpretato i solidi di Platone, e quindi ben disegnato anche il fuoco rappresentato da un tetraedro, una piramide. Si tratta solo di Leonardo da Vinci, un artista. Che non capisca nulla lo si evince anche da una sua frase citata dal velenoso Kant: dice, questo Leonardo, artista italiano, figuriamoci, che la pittura conosce l’essenza delle cose meglio di qualunque filosofia. Una sincera risata accoglie tale affermazione, per qualche istante il caldo sembra smettere di tormentare i pensatori. Buoni, questi pittori, ride Marx, capelli e barba raccolti in codini per sudare meno. Silenzio, intima quel codino di Baldassarre Castiglioni, o non sapete che al bagno dodici e mezzo c’è la spiaggia dei pittori, la «Datemi-un-pennello-e-vi-solleverò-il-mondo»?

Ah ma allora è vero che al dieci e mezzo ci sono i letterati, chiede sempre Cagliostro, che da tempo vorrebbe conoscere l’autore del Faust, Goethe. Tutti guardano per aria, fischiettano: ci manca che ci mescoliamo agli scribacchini, noi si scrive solo di ciò che si deve scrivere, pensa Wittgenstein, mentre Socrate, che stava riempiendo di domande sulla sua vita un venditore di parei, maledice in un colpo solo scrittori e scrittura. Il venditore intravede due che gli sembrano del suo paese, chissà che cosa vendono, e un po’ per solidarietà, un po’ per liberarsi dei filosofi, li interpella: Allah sia con voi, fratelli, che cosa posso comprarvi? Il ceffone è arrivato inatteso e violento, l’algerino Agostino di Ippona non sa se è più offeso da quello strano modo di chiamare Dio o dall’esser stato scambiato per un venditore ambulante, un simoniaco dunque, trattando lui solo di filosofia e cose sacre.

Il suo compagno rialza la vittima coi suoi parei: «Attento, fratello, devi stare attento a come parli», gli dice Averroè, il pensiero agli anni in Andalusia, dove la sua libertà di pensiero si era scontrata con la chiusura del califfo, che aveva mandato al rogo tutti i suoi scritti e lo aveva esiliato in Marocco. Ancora tensioni, il caldo è una brutta compagnia. Ma dalla passerella arriva un urlo di gioia: le ragazze – Hannah, Simone, Maria, Ildegarda – hanno fatto il gelato, e nessuno oggi vuole che lo spirito combatta la materia, viva la freschezza, del doman non v’è certezza.