Platone e Aristotele sono in spiaggia, è l’ora calda del primo pomeriggio e infatti occupano mollemente due sdraio sotto l’ombrellone. Sono tranquilli, come l’anno scorso hanno lasciato Karl Marx a controllare le biciclette, proprietà non privata ma di tutto il collettivo dei filosofi, e Talete a fare il bagnino, per evitare che qualche grande pensatore s’affoghi. Talete si trova a suo agio nell’acqua, principio di ogni cosa, mentre per esempio Eraclito continua a entrare e a uscire, per tentare di bagnarsi nelle stesse acque, e Leonardo da Vinci tiene per i piedi uno dei suoi tanti allievi, nella speranza di insegnargli a respirare come i pesci. Comportamenti pericolosissimi. Platone sospira: ancora nessun gelataio in vista, con questo caldo, e siamo a settembre ormai.
«Che c’è?» gli domanda il più giovane e tonico Aristotele. «Non ci sono più i metaxù», risponde il maestro. Pensando che stia componendo una filastrocca (era anche un poeta), l’allievo replica «questo lo dici tu, trallallero trallallù». «Idiota, non sono in un momento creativo, stavo riflettendo sulla scomparsa dei metaxù». «Ah beh, se è per questo io l’ho sempre saputo. Già mi è difficile pensare al luogo delle Idee, questo tuo Iperuranio che sarebbe, come dice il nome, oltre il nostro cielo. Ma dove? Chi l’ha mai visto? Chi ne ha fatta una qualche esperienza, che è poi il punto di inizio di ogni conoscenza umana. Figuriamoci i tuoi metaxù, le «cose di mezzo», che sarebbero a metà strada tra questo nostro mondo e l’Iperuranio. Un altro luogo misterioso dove sarebbero lì, in attesa di essere da noi o dagli dèi coinvolti, i numeri, le anime e quelli che tu chiami démoni, quelle specie di folletti sul genere di Eros e di altri semidei. Fossimo nati venticinque secoli dopo ti avrei suggerito la lettura del Signore degli anelli: anche lì c’è un luogo in mezzo, ma è concreto, è la Terra di mezzo, il continente dove vivono i protagonisti del libro, che guarda caso sono proprio elfi, hobbit, orchi e compagnia». «Uff, sempre a precisare. Guarda che conosco anch’io l’opera di Tolkien (magari avessi raggiunto la sua chiarezza nell’esporre miti e visioni del mondo).
Ma quel grande studioso proveniente dalla Britannia avrà sempre detto che non esiste nella realtà sensibile alcuna Terra di mezzo. In una lettera – e tu sai che anche io ho affidato alle lettere il cuore del mio pensiero – scrive testualmente: “Riguardo alla forma del mondo della Terza Era, temo che sia stato ideato drammaticamente, piuttosto che geologicamente o paleontologicamente”. Niente di diverso dai miei metaxù». «Mi compiaccio, maestro, delle tue letture nei secoli a venire. Ma mi trovo costretto a contraddirti ancora, infatti in una lettera successiva, a scanso di equivoci, sempre Tolkien preciserà: “La Terra di Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo) di midden-erd>middel-erd, un antico nome per l’oikumene, la dimora dell’Uomo, il mondo oggettivamente reale, utilizzato come esatto contrario dei mondi immaginari (come Fairyland) e inosservabili (come Paradiso e Inferno)”. Tolkien utilizza proprio i nostri termini greci per indicare l’oikìa, la casa degli uomini. La Terra di mezzo è questa terra, la stessa che vediamo e sentiamo sotto i nostri piedi, di cui quindi possiamo dire di avere conoscenza perché l’abbiamo esperita».
«Santo cielo, questo ragazzino mi contraddice e non si vedono né gelati né granite nei dintorni. Ascolta, Aristotele, le cose che ci sono in cielo e in terra sono molte di più rispetto a quelle nella tua filosofia! (bella questa frase, me la devo segnare). Esistono i numeri, i dèmoni, le anime, ma dove staranno se non in una sorta di metaforica terra di mezzo: non possono stare con le Idee, perché hanno commercio con la vile materia, i numeri la contano e la misurano, i dèmoni ci passeggiano e hanno rapporti con gli umani, le anime poi la rendono viva».