Più sovrani o più isolati?

/ 04.06.2018
di Peter Schiesser

Con la prima parte del dibattito fiume al Consiglio nazionale, mercoledì scorso, la nuova grande battaglia sulla politica estera (ma non solo) è cominciata. E l’iniziativa popolare per l’autodeterminazione ha subito scaldato gli animi a Palazzo federale. In effetti, questa iniziativa lanciata dall’UDC ha un potenziale dirompente che non si limita unicamente all’aspetto giuridico della prevalenza del diritto svizzero su quello internazionale, se accettata avrebbe un impatto sulle relazioni internazionali del nostro paese, potenziali ricadute negative sull’economia e sui diritti fondamentali dell’uomo, senza però creare chiarezza giuridica, secondo quanto è ampiamente dibattuto fra gli esperti di diritto.

Dove affonda le radici questa iniziativa? In una sentenza del Tribunale federale del 2012 in cui si statuisce che la Convenzione europea dei diritti umani prevale sulle leggi e sulla Costituzione svizzera. Il caso riguardava uno straniero che doveva essere espulso e quindi era messo in collegamento con l’iniziativa popolare vinta a fine 2010 sull’espulsione di stranieri colpevoli di reati. In sostanza il Tribunale federale ergeva ancora una volta degli argini davanti a iniziative popolari accettate dal Popolo che si pongono in contrasto o con la Costituzione federale o con convenzioni e trattati internazionali. Per l’UDC, una perdita di sovranità inaccettabile. Ecco quindi che a novembre o a febbraio del 2019 voteremo su un’iniziativa che chiede la preminenza della Costituzione federale sul diritto internazionale, fatta eccezione per determinati diritti fondamentali (come il divieto della tortura); inoltre, secondo quanto recita il testo, se dei trattati internazionali sono in contrasto con la Costituzione svizzera, vanno rinegoziati o denunciati, mentre il Tribunale federale deve tener conto solo delle Convenzioni che sono state sottoposte a referendum (ciò che non è il caso per la Convenzione europea dei diritti umani). In questo modo saremo di nuovo autonomi e sovrani.

No, saremo più isolati e indeboliti, rispondono gli avversari, dal mondo economico ai partiti di centro e di sinistra, agli esperti di diritto. La prima contestazione che viene mossa è che «pacta sunt servanda», gli accordi e le convenzioni internazionali adottati e in vigore devono essere rispettati. Con un’iniziativa come questa per l’autodeterminazione che piccona questa certezza giuridica, la Svizzera diventa immediatamente un partner meno affidabile per governi stranieri e istituzioni internazionali. Il mondo economico teme ripercussioni sugli accordi di libero scambio e con l’Organizzazione mondiale del commercio, e ricorda che il diritto e gli accordi internazionali proteggono maggiormente gli interessi dei paesi più piccoli di fronte ai grandi. Ma anche dal punto di vista del diritto, secondo gli avversari, l’iniziativa non crea chiarezza, solo rigidità. Le ambiguità contenute nel testo sono fonte di dibattito nelle cerchie specialistiche e qui non le affronteremo, un elemento però va estrapolato: in realtà, questa iniziativa che mira ad una sovranità del diritto svizzero rispetto a quello straniero, comporta anche un indebolimento del Tribunale federale. Governo e parlamento federali non hanno mai voluto delle regole rigide che regolassero la preminenza del diritto internazionale su quello federale e viceversa, nemmeno nella nuova Costituzione federale del 1996. Al Tribunale federale è stato lasciato un margine di manovra che da decenni si concretizza anche con la «Schubert Praxis», la quale permette delle eccezioni ai trattati internazionali (esclusi quelli sui diritti umani). La domanda fondamentale quindi è: funziona meglio la rigidità o la flessibilità?