I lettori regolari di questa rubrica si saranno già accorti che, da qualche anno, non manchiamo di insistere nell’affermare che la prestazione dell’economia svizzera va vista in un quadro internazionale. Va confrontata insomma con quella delle altre economie. Quando si opera questo confronto emerge una contraddizione che riesce difficile spiegare. Da un lato la Svizzera è nei primi posti delle classifiche per quel che riguarda la competitività o l’innovazione tecnologica. Non si trova sicuramente male anche nelle classifiche sull’attrattività dell’economia in termini di fattori di localizzazione anche se, bisogna riconoscerlo, siamo un paese senza o quasi materie prime. Siamo anche tra i paesi più ricchi del mondo, almeno per quel che riguarda il patrimonio per abitante e sicuramente non siamo distanti neanche nella classifica del reddito pro-capite. Quando però confrontiamo la prestazione della nostra economia in termini di tasso di crescita del prodotto interno lordo ci accorgiamo che, da più anni, ci troviamo in fondo alla classifica dei paesi europei. Se prendiamo le previsioni per il 2018, formulate alla fine del 2017, la Svizzera, con un tasso di crescita pari all’1,9% (previsione OCSE) faceva parte del gruppetto di coda dei paesi europei, appena un poco più avanti dell’Italia (1,5%) e allo stesso livello della Francia che, come sappiamo, è afflitta da anni da profondi problemi di ristrutturazione.
In effetti anche per il commentatore più smaliziato riesce difficile ricomporre, con queste tessere, un quadro della situazione leggibile e coerente. Un’economia che, da anni, occupa i primi posti delle classifiche mondiali quanto a competitività e ricchezza dovrebbe essere davanti anche nelle classifiche sulla crescita del Pil. E invece, lo ripetiamo, da diversi anni non è così. Questo rompicapo non cessa di interessare anche i ricercatori che seguono l’evolversi della congiuntura economica. E ogni tanto dalla ricerca affiora qualche spiegazione. Di solito le stesse sostengono che, per ragioni di metodo, in Svizzera si tende a sottostimare il tasso di crescita del Pil. Di conseguenza si sottostima anche la vera crescita dell’economia. Una di queste spiegazioni si riferisce all’effetto di cambiamenti nei termini di scambio quando il franco viene rivalutato. Se il franco svizzero si rivaluta i prezzi all’esportazione salgono e quelli all’importazione diminuiscono. Questo significa che l’economia svizzera può con la stessa dotazione di capitale e lavoro importare di più. Gli svizzeri diventano perciò più ricchi senza che questo aumento di ricchezza sia misurato nelle statistiche del Pil. Il Credito svizzero, in una sua recente analisi ha calcolato che, nel periodo 1970-2017, per effetto di cambiamenti nei termini di scambio il Pil svizzero sarebbe cresciuto di almeno un 10% in più di quanto registrato dalle stime della contabilità nazionale, ossia di uno 0,2% per anno. Ammettiamo che per un tasso annuale di crescita che, nel periodo considerato, è salito rare volte oltre l’1,5% un due decimi di punto in più all’anno sono un apporto significativo che avrebbe fatto guadagnare diverse posizioni all’economia svizzera nelle classifiche internazionali relative alla prestazione in termini di crescita del Pil. Tanto più se la correzione relativa ai termini di scambio fosse stata applicata anche alla prestazione delle altre economie, con divise svalutate rispetto al franco. Queste, infatti, si vedrebbero ridotte la crescita del loro Pil di un importo più o meno equivalente. Siccome questo tipo di correzione non si fa, restiamo purtroppo sulla nostra fame... di crescita supplementare.
Ci consola però apprendere, sempre dalle medesime fonti, che, per il fatto che la Svizzera è sede della FIFA, dell’UEFA e dello COI, ogni volta che si tiene un campionato europeo o mondiale di calcio e ogni volta che si tengono le olimpiadi il tasso di crescita del nostro Pil registra un importante balzo avanti dovuto al pagamento di diritti e licenze che fanno fluire consistenti mezzi nelle casse di queste organizzazioni. Questo afflusso straordinario di risorse non è di solito registrato nelle previsioni di crescita del Pil e quindi, alla fine dell’anno in cui si registra l’evento, ci si ritrova con un tasso di crescita del Pil superiore a quello pronosticato un anno prima. Si pensa che sarà così anche quest’anno. Chissà dunque che, grazie ai ricavi che la FIFA incasserà per i mondiali di calcio, il tasso di crescita del nostro Pil non superi, finalmente, il livello fatidico del 2%?