Pensare, credere e credere di pensare

/ 28.01.2019
di Peter Schiesser

Siamo esseri razionali, noi umani? Basta guardarsi attorno per rispondere di sì: tutto ciò che le mani, gli attrezzi, le macchine hanno creato, la mente umana ha pensato. Un pensiero logico, che resiste alle analisi e alla prova dei fatti: un aereo resta in aria perché scienziati, ingegneri, manovalanza e macchine danno le risposte concrete alle esigenze poste dalla fisica. Penso, dunque sono.

Ma siamo anche esseri irrazionali. In certi ambiti della vita sono gli istinti a dominare, è l’intuito che giunge da chissà dove a guidarci, nelle azioni e nei pensieri. Anche qui, basta guardarsi attorno: che ne sarebbe del puro pensiero astratto se nella mente umana non fosse scattata l’idea, la visione di una cosa, l’intuizione della creazione? Anche semplicemente guardando un moderno grattacielo delle metropoli mondiali, possiamo gettare uno sguardo nella fantasia che nasce, anch’essa, nella mente umana. Credo (nella fattibilità di una visione) quindi sono. E se parliamo di credere, non possiamo ignorare che accanto a visioni più materiali è presente con forza il credere – semplifichiamo – in un’ideologia o in una religione.

Naturalmente, questa coabitazione di razionalità a irrazionalità (che sono concetti a loro volta vasti) può complicare le cose nella percezione della realtà, nella definizione della realtà. Perché non sempre le due cose sono separate. A osservare bene, si scopre che l’io può utilizzare la logica della mente per confermare la validità della propria idea o posizione istintiva (e chi è più intelligente, più intelligentemente trova conferme). In questo caso, non stiamo pensando razionalmente, bensì crediamo di pensare. Crediamo, non pensiamo. E il credo per sua natura si difende, anche con l’ausilio della mente, dall’analisi critica, da ciò che può infrangere la sua integrità. Ora la domanda è: è più frequente il pensiero analitico o quello dominato dal proprio istinto? A giudicare il debole che il genere umano mostra verso le fake news, dovremmo concludere che c’è un’importante fetta dell’umanità che per un motivo o l’altro vuole istintivamente credere a qualcosa che la sua mente deve confermare essere vero, ma che un’analisi logica smentirebbe. Le teorie del complotto si iscrivono nello stesso filone: insinuano che la realtà non è come te la spiegano, c’è sicuramente dietro dell’altro, ti nascondono le cose; per cui i racconti più fantasiosi su fatti non del tutto inverosimili, che ovviamente l’ufficialità non vuole divulgare, diventano narrazioni del lato oscuro del mondo. C’è un evidente bisogno umano di immaginare una realtà aumentata...

Visto il consistente potere propagandistico che le fake news hanno in questi tempi, stanno riflettendo su questi meccanismi anche fior di psicologi ed esperti di scienze cognitive e della mente. Due di loro, i professori statunitensi Gordon Pennycook e David Rand hanno sintetizzato sul «New York Times» (22.1.2019) le due posizioni dominanti nel dibattito specialistico sui meccanismi mentali che portano ad accettare le fake news: c’è chi ritiene che la mente del singolo utilizzi il pensiero per confermare una propria opinione istintiva, o comunque irrazionale; c’è invece chi, come i due autori citati, sostiene che chi cede alla tentazione di credere alle fake news lo fa per una pigrizia mentale, in sostanza non fa sufficiente uso della capacità di analisi che il nostro cervello mette a disposizione. In realtà, per i due autori entrambe le teorie hanno una loro validità e tenere conto di ciò può aprire nuove vie ad una comprensione scientifica ancora più profonda dello strano amore dell’essere umano per le fake news attraverso i millenni – con la speranza di potervi porre rimedio.