Palle di neve pensate

/ 05.03.2018
di Maria Bettetini

«Accatv e carot po pupazz». D’altra parte a chi viene voglia di insalatine miste con tanto freddo? Quindi le carote solo a questo possono servire, fare il naso ai pupazzi di neve. Al primo giorno di neve nella zona del Centro e del Sud Italia, ci siamo divertiti con le battute dei romani: nostalgia di Spelacchio, il povero abete natalizio che morì prima di Natale, meritandosi il nome per la mancanza di foglie o aghi che dir si voglia; oppure scherzi sulla sindaca, avvistata allegramente in bicicletta, in maniche corte, a Città del Messico; infine meravigliose viste di piazze, ponti, colossei, tutti coperti di bianco, con commosso commento di quei ruvidoni – e romanticoni – dei romani. Ma i napoletani, loro battono tutti. Quanta neve sarà scesa? Tre, cinque centimetri? Ecco pronta la carota per il naso, «prendete la carota per il pupazzo», accattatevilla, non c’è nemmeno il prezzo, sarà forse in regalo. E poi il capolavoro: nello stesso mercato, «palle di neve già fatte, una 0.50 euro, tre un euro». Me li vedo, i filosofi di Napoli e dintorni, che si apprestano a una partitina. I loro allenatori hanno già preparato le palle di neve, le passano ai giocatori man mano che scendono in campo, tre al prezzo di due. C’è Parmenide, per la squadra degli Eleati – oggi Elea si chiama Ascea, è sempre un bellissimo paese di mare a sud di Napoli. Gli Eleati, si sa, hanno dei problemi col movimento. Zenone, che gioca in difesa, è quello di Achille e della tartaruga, del piè veloce che mai raggiungerà in una gara di corsa una testuggine partita con un minuscolo anticipo.

È un paradosso, naturalmente, l’esperienza insegna che Achille raggiunge e supera la tartaruga in un balzo, perché nella realtà l’infinita segmentazione spaziale non corrisponde a quella temporale. Ossia: Achille non deve aspettare di coprire una a una le minime distanze che lo separano dal simpatico animaletto, consentendogli un ulteriore spostamento, il ragazzo infatti può coprirle tutte in una volta sola. Ma razionalmente la cosa non convince gli Eleati e Zenone, che per questo gioca in difesa: come potrebbe attaccare, se il nemico è comunque sempre in vantaggio? La squadra di Parmenide dunque afferra le palle di neve, e fin qui tutto bene. Infatti per l’Eleate l’essere, che è e non può non essere, è come uno «sfero tondo», perfettamente tondo, un «bello sfero». Quale migliore invito ad arrotondare con perfezione le munizioni della battaglia? Il problema poi è il tiro, perché per loro, è noto, nemmeno una freccia scagliata nel cielo si muove davvero: l’apparente movimento è dato dal susseguirsi di, come diremmo oggi, «fermi-immagine», di infiniti istanti in cui la freccia è ferma. Figurarsi una palla di neve, che in volo può anche disfarsi. L’allenatore li incoraggia, forza ragazzi, non ragionate troppo, tirate e sarà quel che sarà. Gli avversari sono temibili, primo fra tutti Tommaso Campanella, nato nel Regno di Napoli, a Stilo, nel 1568. Tommaso è stato un vivace filosofo, ma anche come prestanza fisica non aveva rivali. Per evitare la condanna capitale si finse pazzo e sopportò quaranta ore di torture senza ammettere la finzione. Inoltre, Tommaso è convinto che tutto ciò che esiste sia sensibile, abbia delle percezioni, come se il mondo fosse costituito da un solo grande animale.

Questa è l’idea, presa dal platonismo, in particolare dall’egiziano Plotino, che consente la razionalizzazione della magia: proprio perché parte di uno stesso corpo, alcuni oggetti possono influire su altri anche a distanza, come quando ci pestano un piede e vediamo le stelle. E questo è anche il motivo per cui Campanella sta parlando alla palla di neve: la incoraggia, le spiega dove colpire e come. Perplesso è il suo compagno di squadra, l’altro Tommaso, quello d’Aquino, anche lui nato nei paraggi, mandato dalla famiglia nel monastero di Montecassino per diventarne ricco abate, avversato poi dalla stessa quando ha deciso di farsi domenicano, quindi povero e intellettuale, caratteristiche invise alla nobiltà dei d’Aquino. Tommaso non è uno sportivo, ma ha una mira infallibile. Ha chiesto all’altro Tommaso, al Campanella, di coprirlo mentre lui mira Benedetto Croce, ma Campanella non deve far rumore parlando alla neve. Il momento sembra propizio, Benedetto infatti è distratto, controlla che le finestre della sua casa, lì dietro al monastero «’e Santa Chiara», siano chiuse, non sia mai che una palla di neve colpisca la ricca biblioteca. Mentre guarda per aria, i due Tommaso colpiscono, volano le palle di neve, ma qualcuno le devia, è un uomo col cappuccio, è Giordano Bruno, un altro filosofo nato vicino a Napoli, a Nola. Giordano devia, sarà forse magia, nessuno si fa male. Ah no, è che la neve si è sciolta ormai, il sole non è riuscito a stare nascosto, è «in fronte» a noi, e non c’è napoletano, nemmeno filosofo, che riesca a fuggire quel tepore che dopo il freddo scalda la pelle, pazienza per «o pupazz».