Tra le tante possibili suddivisioni eccone una particolarmente indovinata: l’umanità oltre che tra scapoli e ammogliati, tra uomini e donne, tra pigri e sportivi, si divide tra ordinati e amanti del proprio disordine. Non il disordine sciatto, quello che dipende solo dalla svogliatezza del soggetto, ma il proprio disordine, in cui «io comunque so dove è tutto».
Gli ordinati, naturalmente non ci credono, pensano che ogni forma di disordine sia una grave ferita alla dignità umana. Soffrono, desiderano intervenire e compiono il peggiore dei disastri, mettendo mano a carte, documenti, libri altrui. Sistemano i golfini per colore, e non per «lo uso» e «lo tengo perché la zia è ancora viva, una volta l’anno mi tocca indossarlo». Dividono le scarpe in estive e invernali, senza avere idea di quando finisce l’inverno e comincia l’estate, e viceversa. Patiscono se vedono una «cosa» senza padrone, ovvero senza classificazione. Ma che cos’è l’ordine? Certo non una battaglia per dividere presine e strofinacci.
Il tema viene da molto lontano: per i Greci, era davvero un problema da risolvere. Ai primordi della filosofia, si cerca di semplificare. Si propongono soluzioni che non moriranno con la civiltà greca. Per esempio l’idea di Parmenide, che il mondo sia un tutto senza passato né futuro, un intero che si ripete nei secoli, sarà in Nietzsche, ma anche nel «neoparmenidismo» di Bontadini e Severino, che ancora vive e ha molti discepoli. Non è da meno la posizione di altri antichi, che cercavano di ridurre l’origine del mondo come emanazione di un solo elemento (l’acqua di Talete) o del mescolarsi di diversi, come i quattro di Anassimandro, aria terra fuoco acqua, che si attraggono e respingono, creando cicli temporali.
Colui che davvero ha cercato di unificare le diversità del mondo è stato Platone, con teorie poi raffinate da medio e neo platonici. Per la prima volta viene impostata una struttura del mondo che vede al suo grado infimo la materia, la materia prima, priva di forma e quindi oscurità non conoscibile. Il vertice è l’Uno, il bene, di cui il bello è detto «anticamera», vestibolo. Tra il primo principio e la materia, una griglia cui nulla sfugge, dove, attraverso le idee e i numeri ideali, si passa dalle «cose di mezzo» (anime, demoni, numeri reali) per comprendere in questa discesa verso la materia le cose, gli umani, la natura.
Questo schema piacque moltissimo – escludendo le critiche e l’ironia di Aristotele e dei suoi – perché sembrava risolvere definitivamente proprio il problema dell’ordine, dell’organizzazione di questo nostro mondo. Nel corso dei successivi venticinque secoli, il paradigma platonico non è stato mai dimenticato. Ora più incentrato sulla matematica, così negli ultimi secoli a.C., ora più mirato all’identificazione con le anime, i numeri, le idee, fino a un primo principio che si può incontrare solo attraverso un’esperienza estatica. Questo è Plotino, filosofo egiziano trasferitosi a Roma nel secondo secolo d.C. L’ordine del mondo è evidente, passa attraverso i numeri, se pur il suo finale è mistico, l’ascesa della mente non può prescindere dalla matematica. Abbandonato l’attaccamento alle cose e al proprio corpo – si dice che Plotino non si lavasse e scacciasse tutti coloro che tentavano di ritrarlo. Le donne, comprese imperatrici e nobili madame, tributando al filosofo un tifo degno dei Beatles.
Di questo possiamo sorridere, ma conviene invece prendere sul serio quella che in Cartesio diverrà la tensione alla mathesis universalis, il tentativo di leggere il mondo in maniera matematica. Sì, dirà il filosofo francese che scriveva a letto, al mattino, abitudine direi non estranea anche ai filosofi d’oggi, esiste una materia che è estensione, connessa attraverso il cervello, in particolare la ghiandola pineale, al pensiero. Ma noi siamo spirito, e dobbiamo costruire un ordine del mondo secondo ragione, secondo i numeri, senza preoccuparci della materia. Un sogno che ritornerà attraverso i diversi platonismi, nella costruzione hegeliana che premia la filosofia come livello ultimo di conoscenza per l’umano, oltre, naturalmente, la materia, ma anche l’arte e la religione.
Più semplicemente, sul finire del quarto secolo, Agostino da Ippona, in ritiro prima del Battesimo con amici e familiari, fa trascrivere un dialogo de ordine. Lo spunto di queste poche pagine è lo scorrere di un torrente, ora più impetuoso ora più tranquillo, mai uguale a se stesso. Dov’è l’ordine in questo mondo? Si potrebbe rispondere in diversi modi, parlando di luci e ombre, di bellezza della diversità. Ma finalmente difficile da comprendere, come possiamo pensare di comprendere l’ordine dell’universo? La domanda vale anche per chi lascia le scarpe in mezzo a una stanza, perde gli scontrini, ammassa libri nella vana speranza di leggerli (quando?). Ognuno sia chi sia, i sensi di colpa servirebbero a ben altro.