42,4 gradi centigradi a Parigi, 41,5 in Germania, oltre 37 nella città più calda in Svizzera (Sion): la seconda ondata di caldo in Europa non è da meno della prima. E le previsioni dei meteorologi indicano che vivremo estati roventi sempre più spesso, a causa del riscaldamento dell’atmosfera terrestre. I cambiamenti climatici sono una realtà, nelle più diverse sfaccettature (ondate di caldo, siccità, piogge torrenziali e tempeste più frequenti, stagioni che si allungano o quasi non si vedono). Tuttavia, non tutti concordano sul fatto che questi cambiamenti siano dovuti alle attività umane, al CO2 che immettiamo nell’atmosfera. E per sottolineare la loro tesi negazionista ricordano che ci sono già state in passato fasi temporali in cui la temperatura era salita o scesa, anche negli ultimi due millenni. Ora però questa tesi non regge più, smentita da due studi pubblicati giovedì scorso su «Nature» e «Nature Geoscience» dai ricercatori del Centro Oeschger per la ricerca sul clima all’Università di Berna.
Dal punto di vista scientifico, questi studi vengono considerati i più accurati e precisi svolti finora a livello mondiale: quello sull’estensione geografica delle anomalie climatiche ha superato l’esame di sei diversi metodi statistici, per quello sulla «ricostruzione» delle temperature nel mondo sono stati utilizzati sette diversi metodi, indipendenti fra di loro; sono stati studiati coralli, cortecce di alberi, ghiacciai, sedimenti lacustri e marini in tutto il mondo per stimare le temperature dall’inizio dell’era cristiana (ricordiamo che le misurazioni climatiche sono cominciate solo nel 1865). E i risultati presentano delle novità che neppure i ricercatori si aspettavano.
La più importante è che solo dalla seconda metà del Novecento (e ancora più dall’inizio di questo secolo) si può parlare di riscaldamento globale: la temperatura è davvero aumentata dappertutto, eccetto che in una parte del Polo sud, ossia sul 98 per cento del pianeta, innalzandola fino ad oggi di un grado centigrado globalmente. Quelle che sono oggi conosciute come piccola era glaciale (dal 1400 al 1850) e il periodo caldo del Medioevo (dal 7-800 fino al 1400) avevano invece carattere regionale e nelle aree interessate si sono verificate in tempi diversi. Non sono stati un evento globale con una causa globale.
I ricercatori del Centro Oeschger hanno capito che ad influenzare in clima nei secoli passati non è stata l’attività del sole, ma piuttosto i vulcani: il pulviscolo sospeso nell’atmosfera riflette le particelle del sole e quindi riduce l’insolazione al suolo. In particolare, era già noto l’influsso che l’eruzione del 1815 del vulcano indonesiano Tambora aveva avuto sul clima in Europa e nel Nordamerica (quello successivo venne ricordato in Svizzera come l’anno senza estate, ciò che provocò la perdita di moltissimi raccolti e una letale carestia in tutto il paese), ma lo studio del Centro Oeschger dell’Uni di Berna rivela che altre quattro potenti eruzioni avvenute ai tropici fra il 1808 e il 1835 hanno fortemente influito sulla fase finale della piccola era glaciale. L’influsso è diretto ma anche indiretto: quando l’atmosfera si raffredda in seguito ad un potente evento vulcanico, pure gli oceani si raffreddano e in seguito impiegano più tempo a riequilibrare le variazioni di temperatura regionali.
E giusto per sottolineare che le conseguenze di simili eventi non si circoscrivono ad un’estate rovente, val la pena ricordare che i cambiamenti nella temperatura degli oceani influirono sulla pressione atmosferica e sulla circolazione delle correnti d’aria, provocando in Africa e in India una siccità durata vent’anni e in Europa l’aumento delle superfici dei ghiacciai nella seconda metà dell’Ottocento. Le conseguenze dei mutamenti climatici e di importanti eventi singoli possono essere quindi regionalmente molto diverse. Ma per la prima volta nella storia (almeno dell’umanità) siamo e saremo confrontati con le imprevedibili conseguenze di un riscaldamento dell’atmosfera terrestre che ora può davvero dirsi globale.