Nuovo squarcio nell’Ue

/ 25.06.2018
di Paola Peduzzi

Il sogno di una notte di mezz’estate dell’Europa s’è infranto qualche settimana fa, quando il continente s’è svegliato con i problemi esistenziali di nuovo sull’uscio di casa, tutti insieme, facce nuove, dolori antichi. Il consiglio europeo del 28-29 giugno era stato studiato come una festa: l’appuntamento a metà dell’anno 2018, l’anno del consolidamento del progetto europeo e del neoeuropeismo lanciato nelle piazze piene di bandiere blu con le stelline d’oro. Un gran progetto di rifondazione, i calici alzati perché siamo vivi, siamo uniti, abbiamo un sogno comunitario per il futuro: questo era lo script del consiglio europeo imminente, ma poi tutto è cambiato.

È facile attribuire all’Italia la colpa dell’inversione di marcia: da quando ha giurato, il governo di Giuseppe Conte non ha fatto che proclami destabilizzanti – anche le contraddizioni, soprattutto le contraddizioni, sono destabilizzanti. La chiusura dei porti e l’odissea della nave Aquarius hanno creato un ulteriore squarcio nell’Unione europea, alle prese con la propria rifondazione e con un nuovo slancio dei paesi che non vogliono più integrazione comunitaria, anzi forse non ne vogliono proprio. L’Italia e il suo governo-laboratorio che manda in visibilio tutti i partiti e gli ideologi nazionalisti d’occidente rappresentano il colpo finale a un processo che già era rallentato, in particolare dalla lungaggine della formazione del governo tedesco che ha a lungo tenuto in sospeso molti cantieri di riforma. Ed è proprio in Germania che è nato un ulteriore guaio: il partito al governo con i cristianodemocratici di Angela Merkel ha iniziato a fare opposizione interna.

La Csu, cugina dal Dopoguerra della Cdu, è guidata da Horst Seehofer, che è anche il ministro dell’Interno del governo Merkel: la Csu rappresenta l’ala più conservatrice dell’Unione e rappresenta la Baviera, avamposto della questione immigrazione. In Baviera si vota in autunno, e Seehofer vuole arginare l’ascesa del partito che più fa paura a destra – l’Alternative für Deutschland – rincorrendolo sul suo stesso terreno: è per questo che ha chiesto di introdurre una nuova regola sul rimpatrio automatico dei richiedenti asilo che si sono già registrati in un altro paese membro e ha lanciato un ultimatum alla Merkel. La cancelliera è riuscita a prendere tempo per cercare una soluzione unitaria al consiglio europeo della fine del mese, ma intanto Seehofer ha stretto alleanze a livello di Ministero dell’interno sia con l’Austria sia con l’Italia.

In gioco non ci sono soltanto gli equilibri di potere tra i vari Stati, ma la filosofia comunitaria stessa: la cancelliera dice che ogni azione unilaterale rischia di creare un effetto domino che porta a una distruzione del progetto europeo. È sempre bene decidere insieme, sostiene la Merkel, perché nell’iniziativa Stato per Stato l’interesse comune non viene salvaguardato, e a volte nell’ingranaggio restano schiacciati i vari interessi nazionali. Alla visione merkeliana, che è saldata con quella di Emmanuel Macron – i due hanno accantonato buona parte delle loro divergenze: si fa gli schizzinosi in tempi normali, non quando è in gioco la sopravvivenza dell’Europa – si contrappone quella dell’Ungheria di Viktor Orban che, pur avendo un peso specifico ridotto, è la portavoce di una visione dell’Europa degli Stati tipica dei partiti nazionalisti: l’apertura e il liberalismo, dice Orban, hanno fallito, è il momento di recuperare quel che siamo, e non è necessario stringersi troppo in un federalismo opprimente.

Il premier ungherese accompagna questa strategia con la chiusura delle frontiere e una serie di operazioni interne illiberali – la legge anti Soros è la più celebre, ma ci sono molti altri provvedimenti che minano il pluralismo in Ungheria – che stravolgono l’essenza del progetto europeo come lo abbiamo conosciuto finora.

Il rischio che questa frizione riporti l’Europa nella crisi da cui pareva uscita soltanto pochi mesi fa è molto alto. Siamo tornati alla gara di sopravvivenza, o come dicono i francesi allo scontro finale e frontale tra le due anime europee: nazionalisti da una parte, progressisti dall’altra. Per la gestione del quotidiano, resta valida la strategia olandese, esplicitata di recente dal premier Mark Rutte: facciamo funzionare le regole che ci sono, facciamo riforme soltanto negli ambiti in cui è strettamente necessario, non impantaniamoci sulla volontà di integrarsi il più possibile. Quando c’è da stringersi forte, molti paesi europei hanno l’istinto di ribellarsi: restiamo così, vicini, collaborativi, la rifondazione un’altra volta, passata la tempesta.