Lo scorso mese di marzo c’è stato al Nazionale il dibattito su un’iniziativa che perorava il passaggio del controllo delle concessioni radiotelevisive dal Consiglio federale al Parlamento. L’ho seguito praticamente in diretta, non alla radio o in tv, ma sul sito online del «Tages Anzeiger», grazie al «liveticker», vale a dire la cronaca via web in tempo quasi reale. A ricordarmi quel dibattito è giunta ora la pubblicazione di dati sui costi delle trasmissioni della nostra Rsi nel 2016. Non che io voglia rivangare tutta la seduta parlamentare, mi limito a citare quanto espresso a fine dibattito dalla consigliera federale Doris Leuthard, cioè alla sua sorpresa («erstaunt mich schon sehr») per il fatto che la discussione dei parlamentari avesse ignorato i contenuti politici dell’iniziativa.
La meraviglia della signora consigliera federale mi era sembrata subito un po’ strana, poiché è noto che le Camere presto dovranno chinarsi su altri due temi radiotelevisivi prettamente politici: il servizio pubblico della Ssr e la legittimità del canone obbligatorio sempre della Ssr. Davanti a un simile «cahier de charge» se i deputati hanno voluto ballare con i numeri, e non con i contenuti politici, è stato perlomeno per «dovuta coerenza». Inoltre devono ormai aver capito che occorre insistere sulla numerologia (quella legata ai costi, ai milioni del canone radiotelevisivo e alla chiave di ripartizione che salva il federalismo), diventata lo strumento prediletto della Ssr e dei suoi dirigenti regionali quando si rivolgono al pubblico e cercano di convincerlo. Il citato annuncio primaverile dei «costi unitari» (reperibile all’indirizzo www.rsi.ch/costi) è un ulteriore esempio di questa prevalenza dei numeri.
Offerti all’utente solo dall’anno scorso con l’etichetta «operazione trasparenza» i dati sui costi non possono certo offrire confronti indicativi o stravolgenti. Leggendoli si avverte comunque la positiva conferma della tendenza al risparmio, inaugurata con l’obiettivo di combattere i deficit (e di rendere accettabile il canone obbligatorio). Ma le minime differenze nei costi medi e unitari – i 2000 fr. risparmiati qui, i 4000 fr. in più o in meno per quella trasmissione – in pratica confermano solo che revisori e responsabili hanno lavorato, come dovevano. Insomma: un risultato che premia l’efficienza del «controlling» più che nuovi o crescenti «good spending habits», cioè un’auspicata attitudine alla parsimonia. Anche se, come già detto, non c’è intenzione alcuna di fare le pulci a reti, settori o trasmissioni, una sottolineatura è possibile: a Comano i conti si fanno oscillando tra la legge di Murphy («Le spese aumentano sino a raggiungere le entrate») e il mirabile detto di Cyril N. Parkinson («I bilanci sono come i bikini: le parti più interessanti restano nascoste»).
Questa mescolanza è confermata dalla decisione di apportare un «taglio» di 7,2 milioni di franchi alle uscite di Rete Due, una quisquilia subito spiegata ai media (vedi CdT) dal capo dipartimento Cultura Diana Segantini: l’anno prima (e anche tutti gli anni precedenti, si è portati a credere) figuravano a carico di Rete Due i contributi alla Fondazione dell’Osi, ai Barocchisti e al Coro RSI, uscite estinte 2016 con un’operazione che, è stato precisato, «chiarisce la cifre effettivamente a disposizione della rete culturale per i suoi programmi». Intervento sicuramente legittimo, tanto da non preoccuparsi nemmeno di indicare dove siano ora finiti quei 7 milioni di «anomalia contabile». Non che si voglia saperlo per polemizzare. Ma sparata così, l’«anomalia» lascia planare qualche perplessità, non tanto sulla liceità dell’operazione contabile quanto su futuri interrogativi e sul tempismo della manovra (dettata dal nuovo accordo Ssr - Osi?). I dubbi si consolidano se solo si tiene conto che le cifre dell’«anomalia» modificano il peso specifico della cultura alla Rsi, etichettata come pozzo senza fondo da chi sposa il tremontiano «con la cultura non si mangia», e in particolare quello della seconda rete radiofonica, citata come la più seria candidata a sparire se dovessero mutare (diminuire) gettito e ripartizione del canone per la Svizzera italiana.
In simili scenari l’«anomalia» suona quasi come un richiamo a Ssr e Rsi affinché adottino una trasparenza diversa, in grado di garantire l’equilibrio tra una reale sostenibilità dei costi e le esigenze politiche e del servizio pubblico. Operazione impossibile? Una soluzione potrebbe essere quella di pubblicare, oltre alle cifre dei costi, anche dati relativi all’audience, cioè al seguito di telespettatori di ogni trasmissione. Occorre insomma un altro passo verso una trasparenza autentica, allineata con quelle in vigore in tanti paesi, e soprattutto aperta a verifiche come quella degli altri media obbligati a confrontarsi con i numeri relativi ad abbonati e lettori dei giornali o ai clic dei siti web. Ma c’è da scommettere che Giacomettistrasse e Comano preferiranno sempre oscillare tra legge di Murphy e il bikini di Parkinson.