Visitando il nostro paese, gli stranieri curiosi giungono spesso a questa conclusione: «voi state assieme perché tutti ricevono qualcosa. Le disparità regionali e sociali continuano a sussistere, ma la disuguaglianza reale, atavica, incancrenita è un’altra cosa».
La riflessione non è sbagliata, ma è incompleta. La storia insegna che tale attenuazione delle disparità non è frutto del caso, ma il risultato di un disegno costantemente ritoccato nel corso dei secoli: il federalismo.
Federalismo significa parziale autonomia delle singole parti, non sganciata però dalla responsabilità nella gestione dei bilanci. Chi non si attiene alle regole del gioco deve rispondere al potere centrale. Il quale soccorre e indirizza i cantoni economicamente zoppicanti solo se le insufficienze (ritardi, arretratezze, imprevisti) sono giustificate da contingenze particolari. Il federalismo elvetico si fonda insomma sulla meritocrazia: chi si rifiuta di remare con gli altri finisce in acqua.
Tutti gli Stati nazionali portano in corpo spinte centrifughe, veementi o deboli a dipendenza dell’evoluzione dei regimi e dei loro rapporti con le minoranze: gruppi e movimenti che vorrebbero staccarsi dal tronco principale per ragioni storiche, cultural-linguistiche, religiose e naturalmente finanziarie e fiscali. Il caso della Catalogna rientra pienamente in questa casistica.
Poi c’è la distinzione tra «autonomia» e «indipendenza», chiara nella teoria, volutamente ingarbugliata nella pratica. Il recente referendum consultivo svoltosi in Lombardia e nel Veneto può dirsi esemplare. La proposta in sé non intendeva insidiare il «quadro dell’unità nazionale», ma unicamente «richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse». Maggiore autonomia da Roma, dunque, e non indipendenza, come reclamava a suo tempo – anni ’80 del Novecento – la Lega di Umberto Bossi. In realtà le ambizioni sono altre e schiudono scenari imprecisati. Si parte con le risorse mal distribuite e mal utilizzate dall’amministrazione centrale per abbracciare ambiti ben più presenti nella tradizione popolare, temi come l’identità locale, il culto dei dialetti, gli usi e costumi, non importa se radicati nella storia o inventati di sana pianta. La macchina propagandistica attivata per l’occasione non lasciava dubbi, con tanto di enfatico richiamo ai personaggi dei Promessi sposi.
Come detto, non c’è paese che sia immune da pulsioni secessionistiche. Per certi versi tali propositi sono fisiologici, perché non si danno compagini nazionali etnicamente omogenee. Sta alla politica con i suoi ordinamenti governarli con equità e senso della misura, e se del caso ricondurli nell’alveo della carta costituzionale. A suo tempo anche l’equilibrata Confederazione dovette fare i conti con una crescente discordia interna, ossia il separatismo giurassiano. Una crisi in cui non mancarono violenze e provocazioni reciproche, sia da parte del Groupe Bélier (fondato nel 1962), sia da parte della polizia bernese. Alla fine il popolo svizzero, chiamato alle urne, diede il suo assenso alla creazione del canton Giura (1978). E poté farlo perché il sistema contemplava questa via d’uscita. Se invece il quadro istituzionale fosse stato rigido e impermeabile, la situazione sarebbe senza dubbio sfuggita di mano, con conseguenze incalcolabili per la stabilità intercantonale.
Lezione: il buon senso è condizione indispensabile per ricucire le lacerazioni del tessuto nazionale. Tuttavia non è sufficiente. Accanto alla moderazione e alla disponibilità al dialogo occorre disporre di un’architettura giuridica ordinatrice, riconosciuta superiore e imparziale da tutti i contendenti. Nei sistemi democratici il punto di riferimento è la Costituzione repubblicana.
Purtroppo i referendum come quelli sopra descritti si sono tenuti non in un clima sereno, ma in atmosfere caliginose, trasudanti paure, sospetti, desideri inconfessati. La democrazia diretta è un bene prezioso ma delicato. Basta poco per trasformarla in un confuso e tumultuoso plebiscito, facile preda di forze occulte.