Voti d’aria? E diamoli, questi voti! Per esempio, prendete la minuscola casa editrice milanese Henry Beyle (il nome è un omaggio a Stendhal): piccoli libri preziosissimi, a tiratura limitata, stampati con un antico procedimento di composizione Monotype su carta di Fabriano. Poche pagine, impresse con una cura artigianale, maniacale. Titoli rari, molto scelti. Ultimi nati: Manifesto del pedone di Ennio Flaiano, Troppi fiori! di Jules Verne, Il libro fra le macerie di Giovanni Comisso, Poltroni numerati di Achille Campanile. Dunque: 6 – all’editore Vincenzo Campo, erede della tradizione di Scheiwiller. Diventerà un 6 pieno quando affiancherà ai classici del Novecento (e non solo) qualche sorprendente autore d’oggi.
In attesa, apriamo l’ironico appello di Flaiano, scritto nell’estate 1971, contro la progressiva prevaricazione dell’Automobilista. Flaiano (6 alla satira sociale visionaria) prevedeva l’istituzione di tiratori scelti muniti di potenti cerbottane che colpissero i conducenti colpevoli di elevata velocità, di eccessivo rumore, di disprezzo dei segnali stradali. Immaginava bombette al plastico invisibili che esplodessero sotto le automobili parcheggiate abusivamente. Si augurava che, attraverso questi innocenti accorgimenti pseudoguerriglieri, si verificasse la definitiva vittoria del Pedone, insieme con la sconfitta catastrofica delle «utilitarie». Anzi, Flaiano scriveva che «un nuovo mondo sorgerà quando la parola “utilitario” verrà dichiarata turpe e sconcia».
Niente di tutto ciò si è avverato, nessun nuovo mondo, come ben sappiamo: il manifesto di Flaiano è trascorso del tutto inascoltato. Non ci vuol molto per rendersene conto: basta trovarsi in una qualsiasi delle tangenziali milanesi in un qualsiasi giorno dell’anno e in una qualsiasi ora del giorno. O basta affrontare il traffico di Lugano in certe fasce orarie, tra sensi (e non sensi) unici. A proposito di non sensi, l’aggravante è che anche il Ciclista ormai ha assunto la grinta accanita dell’Automobilista e sfreccia ingobbito (e impunito) sui marciapiedi metropolitani sentendosi in diritto (e forse in dovere), in quanto non motorizzato e deprivato di sufficienti piste ciclabili, di travolgere chiunque capiti sulla sua strada (o marciapiede). Insomma, una vita impossibile, vissuta perennemente in doppia e tripla fila o zigzagando pericolosamente tra cacche di cani e pirati su due, su tre o su quattro ruote. Il «nuovo mondo» è quello vecchio molto molto peggiorato, a giudicare dalla qualità dell’aria che respiriamo.
Forse è anche peggio l’aria che respiriamo metaforicamente nelle città. Paura e braccia alzate per dichiararci innocenti dopo le stragi. Le fotografie della folla con le mani alzate a Notre-Dame e al London Bridge fanno impressione: siccome siamo tutti indiziati come potenziali terroristi, dobbiamo dimostrare di avere le mani sgombre, pulite. Tra poco qualcuno ci chiederà di girare per le strade con le braccia alzate in modo da non destare sospetti: andare a fare la spesa con le braccia alzate, entrare in un museo con le braccia al cielo, semplicemente passeggiare tenendo ben sollevate le mani, cosicché nessuno potrà mai accusarci di voler minacciare la pace pubblica… Tira una brutta aria. La straordinaria visionarietà pedonale di Flaiano non avrebbe mai potuto immaginare il Tir di Nizza o il camion di Berlino, determinati a sterminare il più possibile. La realtà supera sempre la fantasia, anche la fantasia letteraria più sfrenata. Siamo circondati da segni lugubri, funerei. Eppure gli editorialisti e i filosofi invitano a non avere paura: dimostrare coraggio sarebbe il trucco per vincere il terrorismo. «Il coraggio, uno non se lo può dare», fece dire Manzoni a don Abbondio, e mai dichiarazione fu più condivisibile.
Io e Lei, l’ultimo libro del grande genetista Edoardo Boncinelli (ultimo 6 della puntata), tratta anche del coraggio che uno non può darsi: è un libro sul rapporto con la morte. Dice Boncinelli che dai cinque anni in poi, cioè da quando per la prima volta ha immaginato la propria morte dal punto di vista di chi rimaneva in vita (i genitori eccetera), non ha più sentito l’angoscia di morire. E aggiunge: «Conosco persone che invece pensano continuamente alla morte e ne scorgono i segni dappertutto. Io no. So che c’è, e che dovrà finire per cogliere qualcosa di me, ma non ci penso mai. Nella mia mente la morte non c’è, mentre c’è tanta, troppa vita». Bello no? Incoraggiante, tanto più se lo dice uno scienziato. Il quale forse condividerebbe pacificamente il pensiero di Flaiano: «Aumentano gli anni e diminuiscono le possibilità di diventare immortali». Oppure questa battuta di dialogo surreale: «Diavolo, vado bene di qui per l’inferno?». «Sì, sempre storto» (6 confermato). Non senso unico.