Non, scherzate con le, virgole;

/ 20.08.2018
di Paolo Di Stefano

Riappropriamoci delle giuste virgole,,, e dei punti e virgola;;; e dei due punti::: sono «i binari che fanno scorrere felici le parole». Ammetto di avere un po’ esagerato, ma «fai vedere che abbondiamo», diceva Totò a proposito della punteggiatura nella famosa lettera dei fratelli Capone. Loro abbondavano, indubbiamente («abundandis adbundundum»), ma noi siamo tirati, cioè tirchi. Il punto si è mangiato tutto. Per non dire dei punti esclamativi ovunque!!! «I catastrofisti dicono che rimarremo solo con il punto: più che una scrittura telegrafica è un ritorno al telegrafo», scrive Leonardo G. Luccone (5+), traduttore, agente e redattore editoriale, in un libro appena uscito per Laterza (Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto). Il saggio di Luccone è un vademecum sui dubbi e sugli errori, sugli usi corretti, su quelli espressivi e su quelli magici, con un ricchissimo repertorio di esempi letterari.

Provate ad aprire a caso un romanzo recente: troverete solo virgole e punti fermi, che rappresentano il 90 per cento della punteggiatura usata oggi. È la Grande Semplificazione, perché limitarsi alla virgola e al punto significa abbattere i livelli intermedi non solo della sintassi ma del pensiero e dell’espressione. La punteggiatura ha una funzione logica ed espressiva, dunque si capisce che venga a cadere quando non c’è niente da argomentare e da esprimere. Qualche anno fa, Stefano Bartezzaghi intonò il requiem del punto e virgola. E Pietro Citati invitò a resistere e a sfruttare tutti i mezzi linguistici a disposizione (punto, punto e virgola, virgola, due punti, puntini di sospensione, trattini, parentesi, punti esclamativi e interrogativi, virgolette): «Una lingua deve la propria eleganza alla ricchezza dei suoi strumenti espressivi».

Lo scrittore franco-rumeno Emile Cioran sognava un mondo in cui si potesse morire per un punto e virgola. Da giurato di un premio letterario, Carlo Emilio Gadda, leggendo i testi in concorso, si lamentava di quella «vaga disseminazione di virgole e punti e virgola, disseminati, qua e là, dove vanno vanno, come capperi nella salsa tartara». La punteggiatura di Gadda non va imitata, come sanno i lettori del Pasticciaccio brutto de via Merulana: «Faceva er maschietto, o er tu-mi-stufi, certe volte, o er superbioso; o er signorino de casa de famija scerta der generone de via de li Banchi Vecchi: o l’uomo d’affari, che nun cià tempo de stà a discorre». Una gran confusione che solo un grande scrittore può permettersi. E non parliamo dei due punti, che Gadda usa a raffica: «All’anulare destro, sulla mano bianca dalle lunghe dita di signore, che gli servivano da scotere la sigaretta, er signorino ci aveva un anello: d’oro vecchio, assai giallo: magnifico: un diaspro sanguigno nel castone; un diaspro ovale con una cifra a matrice». Eccessivo? Forse. Nel 1993, Giovanni Mariotti, raffinato scrittore e critico, ha scritto un intero romanzo, Storia di Matilde (appena riproposto da Adelphi, bellissimo: 5½), in cui era presente un solo segno di interpunzione: il punto finale. Si tratta di una sola frase di 221 pagine. Un formidabile virtuosismo stilistico-sintattico.

Gli scrittori, si sa, fanno come vogliono: licenza poetica. A volte si impuntano, come nel caso di Oscar Wilde, che a un giornalista che gli chiedeva di spiegare bene il suo lavoro quotidiano, disse di aver lavorato intensamente a un poema per tutta la giornata: «La mattina ho messo una virgola, il pomeriggio l’ho tolta». Non si scherza, con le virgole. Anche perché, si sa, una virgola può salvare una vita. Una cosa è dire: «Vado a mangiare, nonna»; più preoccupante: «Vado a mangiare nonna». Lo scrittore argentino Julio Cortázar faceva un esempio malizioso: «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca». Dove collocare la virgola? Un uomo poco galante farebbe questa scelta : «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha, la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca». Una donna sposterebbe il segno più avanti: «Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna, andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca». Insomma, chi deve andare a quattro zampe? L’uomo o la donna? Dipende da una virgola. Vi ricordate il responso della Sibilla al soldato che chiedeva lumi sul suo futuro? «Ibis redibis non morieris in bello». Dove stanno le virgole? Prima interpretazione ottimistica: «Ibis, redibis, non morieris in bello» (andrai, tornerai, non morirai in guerra). Il problema è che in latino la dislocazione dell’avverbio (non) è variabile e ingannevole, per questo il responso della Sibilla è sibillino, ambiguo. Potrebbe esserci anche un’interpretazione negativa: «Ibis, redibis non, morieris in bello», cioè andrai, non tornerai, morirai in guerra. Un virgola può essere fatale.

Fatto sta che in un mondo senza sottigliezze e sfumature, basta il punto esclamativo. Dunque, caro punto e virgola, è finita la pacchia!