È il momento di Matteo Salvini. Mezza Italia pende dalle sue labbra. Certo, la situazione economica e sociale del Paese è talmente grave che i cicli politici si sono abbreviati: gli italiani si infatuano e si disilludono molto rapidamente, e a Salvini potrebbe toccare la stessa sorte di Renzi. Nel frattempo però la politica dipende da lui. È stato lui a prendere a male parole la Commissione europea, per poi riaprire un dialogo che potrebbe portare a un compromesso. È stato lui a costringere il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a non firmare il global compact delle Nazioni Unite sui migranti, contrariamente a quanto il premier aveva annunciato.
Ma qual è la strategia del leader leghista? Ricostruire il centrodestra con Berlusconi? Dall’elettorato del Nord viene una forte spinta in questo senso. I leghisti tradizionali non vorrebbero pagare il reddito di cittadinanza ai disoccupati del Sud. Ma Salvini ha capovolto la ragione sociale della Lega: da sindacato del Settentrione, con velleità secessioniste, a partito nazionalista e antieuropeo. Bossi vagheggiava di staccare la Padania dal resto d’Italia per restare ancorato alla Germania e all’euro; Salvini sogna di portare l’Italia tutta intera fuori dall’Europa e dalla moneta unica. Entrambi i progetti sono destinati a rimanere sulla carta. Però il disegno di Salvini nell’immediato non è tornare con Berlusconi. È logorare i 5 Stelle, prendersi la quota di destra del loro patrimonio elettorale, ridurli a un movimento più piccolo e caratterizzato a sinistra, e diventare il leader unico del populismo italiano.
È doveroso ripetere che dal Nord viene una spinta diversa. Nella cultura politica della Lega c’è l’alleanza con Forza Italia, nel nome della lotta – a parole più che nei fatti – contro lo statalismo, la burocrazia, il fisco. Ma Salvini la cultura politica della Lega l’ha rovesciata. E di tornare ad Arcore – la storica residenza di Silvio – Matteo farebbe volentieri a meno. Sa che verrebbe letto come un ritorno al passato: non il massimo per un leader nuovo e giovane.
Ma un conto è la strategia di Salvini; un altro è ciò che consentono le condizioni del Paese. Che sono gravissime: la crescita economica azzerata, lo spread quasi insostenibile. Logorare i 5 Stelle presuppone andare avanti con questo governo per anni; ma Conte potrebbe cadere anche prima. Un po’ di respiro per i grillini verrebbe da una vittoria di Zingaretti, che aprirebbe un canale di dialogo. Di Maio è in difficoltà. Eppure i 5 Stelle hanno due formidabili armi: il Sud, che è ancora con loro, in attesa del reddito di cittadinanza; e la rete. Gialli e verdi continueranno a essere i due poli del nuovo bipolarismo fino a quando non emergeranno alternative.
Il 3 marzo 2019 ci saranno le primarie Pd, a un anno dal disastro elettorale. Il partito viene da cinque anni di Renzi, che è in sostanza un centrista. Non si è mai posto come antiberlusconiano; semmai come postberlusconiano. Ma anche quando la contrapposizione ideologica era forte, almeno attorno alla persona del Cavaliere, le politiche di governo di centrodestra e centrosinistra non erano poi così diametralmente opposte. Certo, ogni schieramento strizzava l’occhio ai propri elettori. Ma insomma la politica economica di Tremonti, uomo di formazione liberalsocialista, non è che fosse proprio agli antipodi di quella di Giuliano Amato o di Padoa-Schioppa. L’Italia della Seconda Repubblica è stata fondamentalmente governata dal centro; proprio come ai tempi della Prima.
Ora questa fase è finita. Ora l’ideologo del primo partito del Paese teorizza che bisogna superare il Parlamento e la democrazia rappresentativa, e il leader del secondo cita Mussolini tutti i giorni. Questo non significa affatto che il fascismo sia alle porte; i fenomeni storici non si ripresentano mai due volte; e poi il fascismo fu una tragedia che va condannata, non evocata ogni momento. Diciamo che non è tempo per moderati.