Nella sua «Satira preventiva» (5½), la rubrica de «L’Espresso», Michele Serra invitava i governi occidentali di orientamento sovranista ad abbattere gli orsi bruni, a giudicare dal colore del pelo visibilmente immigrati, e a salvare i lupi, visibilmente cittadini europei. In effetti bisognerebbe opporsi alla ormai insostenibile invasione degli orsi nelle nostre strade e piazze, evitando con provvedimenti urgenti che riscuotano un’indennità di 35 euro al giorno come rifugiati, che vadano a vivere nelle nostre case, che rubino il posto di lavoro ai nostri concittadini disoccupati, che accrescano il crimine e il terrore nelle città, che minaccino di stuprare le nostre donne e magari che, pur dichiarandosi poveri, esibiscano sfacciatamente i loro smartphone per telefonare ai parenti plantigradi lontani. La campagna antiorso è partita la settimana scorsa con l’hashtag #aiutiamo-i-mammiferi-bruni-a-casa-loro.
È ora di finirla con il buonismo animalista di maniera. Un po’ di sano cattivismo sarebbe la soluzione ideale, non solo contro gli orsi ma anche contro le api. Mi trovo in Sicilia in ferie da qualche settimana e api di provenienza ignota ma dall’inequivocabile aspetto arabeggiante stanno invadendo le spiagge minacciando di pungere intere famiglie di tranquilli bagnanti che avrebbero il sacrosanto diritto di godersi le ferie dopo un anno di lavoro. La ragionevole proposta di alcuni amministratori locali, ispirati dal ministero dell’Interno centrale, è quella di liberalizzare, per legittima difesa, il porto d’armi e di riesumare l’uso della lupara (ingiustamente demonizzata per decenni), in modo che ogni cittadino che si senta intimidito dal pungiglione possa colpire all’impronta, senza troppi riguardi pseudo sentimentali o neo ambientalisti, gli imenotteri che pretendono asilo fuggendo da presunte zone di povertà e di guerra. Idem per debellare le zanzare subsahariane che sbarcano ogni giorno nei porti del Mediterraneo, soccorse dalle Ong internazionali notoriamente colluse con i trafficanti di insetti.
È finita la pacchia anche per le formiche immigrate. Se non c’è trippa per i nostri bei gattoni domestici, non c’è seme e neanche briciola per le formiche straniere. Ma siccome anche il ministero dell’Interno riconosce che concedere l’uso della lupara anche contro le singole formiche esporrebbe la popolazione a inutili rischi di autoestinzione precoce, alzare i muri rimane l’unica soluzione per non fare delle nostre periferie i formicai del futuro, noti terreni di coltura del terrorismo islamista. Intanto, sarebbe opportuno conoscere la percentuale delle rosse, nettamente più ideologizzate e violente delle nere, e a questo scopo è stato avviato un censimento in modo da poter segnalare le formiche extracomunitarie. Il risultato (provvisorio) di tali indagini è che per creare un mappa affidabile che fotografi la presenza della popolazione formichiera nelle nostre regioni bisognerebbe inserire sottopelle a ogni soggetto un microchip di ultima generazione. Intanto, dopo aver fatto un sondaggio sui social network per valutare il sentiment del popolo di internet, si è deciso appunto in via sperimentale di costruire dei muri di cemento armato alti sessanta metri (l’altezza minima invalicabile dalle formiche) in diverse banlieue delle capitali europee al motto: «Aiutiamo le formiche nei loro paesi». Il problema è che non si sa ancora quale sia esattamente il luogo di origine in cui aiutarle, anche se si sospetta che provengano da una piccola regione tra il Mali, il Niger e il Ghana.
Quanto agli scarafaggi, disgustosa piaga crescente delle nostre città, i leader delle destre populiste si oppongono a un’accoglienza indiscriminata e chiedono agli organi europei la regolamentazione e la redistribuzione dei flussi, in deroga ai criteri previsti dalla Convenzione di Dublino. In attesa che vengano presi adeguati provvedimenti al riguardo, si è deciso di imbarcare le blatte, a singoli gruppi di 3-4 milioni, su apposite carrette del mare e di respingerle, assistite da motovedette della Guardia Costiera, verso le coste africane da dove certamente provengono, stando a recentissimi studi realizzati nei centri di ricerca etologici neonazisti austriaci e ungheresi. In questo caso, lo slogan è: «Aiutiamo gli afro-blattoidei nei loro scarichi e nelle loro fessure». Gli stessi centri di ricerca consigliano, in un’ottica di risparmio economico, di unire, nelle stesse carrette, di preferenza ma non obbligatoriamente in ambienti separati, uomini, donne e bambini che pur dichiarandosi profughi purtroppo non abbiano ottenuto il diritto d’asilo presso i nostri paesi. Si tratta peraltro di individui che presentano maggiori difficoltà di integrazione degli orsi extracomunitari, delle zanzare velate, delle api arabe, delle formiche rosse, delle afro-blatte. Hashtag: #per-carita-non-aiutiamoli-neanche-a-casa-loro.