Adesso che l’influenza da coronavirus è arrivata anche qui, possiamo constatare su di noi, su ci sta attorno, quanto un’epidemia e la possibilità di una pandemia scatenino dei meccanismi psicologici, comportamentali, mentali atavici, che riassumerei in due parole: paura o rimozione. La prima porta a temere una diffusione a tappeto della malattia, la seconda a ritenere che il can can mediatico e le drastiche misure di contenimento del contagio siano esagerate e che sia tutto una montatura. Sono meccanismi mentali che possiamo controllare solo parzialmente, tentando di razionalizzarli. È inutile giudicarli, dobbiamo farci i conti.
Naturalmente, questo rende il compito delle autorità politiche e sanitarie oltremodo difficile e complesso. L’incertezza tipica di ogni inizio di epidemia, con i casi conclamati che cominciano a crescere, impone delle decisioni che possono cambiare di giorno in giorno. E qui la differenza la fanno le singole nazioni, con il loro sistema sanitario, l’ordinamento politico, la mentalità della popolazione. In paesi autoritari-dittatoriali come l’Iran (e la Cina inizialmente) si tende a nascondere la realtà, per cui laddove il virus appare non si sa come comportarsi, non ci sono misure di contenimento del contagio, le strutture sanitarie sono impreparate, la sfiducia verso le autorità rende più difficile la gestione dell’emergenza. In Europa invece, a parte le corse ai supermercati e alle farmacie e un’ansia più o meno diffusa nelle popolazioni, l’epidemia – a questo stadio – viene gestita in modo serio e razionale: non si minimizza il pericolo ma si cerca di contenere oltre al contagio anche le paure della popolazione, spiegando con trasparenza lo stato della situazione, dando indicazioni su come comportarsi, facendo appello al senso di responsabilità di ognuno, allo stesso tempo si rafforzano i dispositivi medici, preparando le strutture ad accogliere un alto numero di pazienti.
Così viene fatto anche in Svizzera e in Ticino. Le autorità cantonali e gli esperti che compongono la cellula di crisi, in primis il medico cantonale Giorgio Merlani, hanno fin qui dato mostra di grande serietà e competenza. Le decisioni che sono state prese (la cancellazione dei carnevali e lo svolgimento a porte chiuse delle partite di hockey, l’invito a rinunciare a manifestazioni pubbliche) non sono sicuramente state facili, d’altro canto non è facile far comprendere che le scuole invece oggi debbano riaprire (ma chi si occuperebbe di bambini e ragazzi se i genitori lavorano? Meglio tenere a casa chi è malato). Ma anche la popolazione ha fin qui reagito in modo sensato e tutto sommato tranquillo. Il paziente settantenne ricoverato alla Clinica Moncucco, in particolare, ha fatto esattamente quel che andava fatto, con grande senso di responsabilità: non si è recato dal medico o in ospedale, per non contagiare nessuno, bensì ha preso contatto con il suo medico e ha poi seguito le indicazioni che gli sono state date. Un tale comportamento è fondamentale per contenere la diffusione della malattia, poiché diversamente, con centinaia di persone contagiate, il nostro sistema sanitario giungerebbe presto al collasso.
Noi restiamo con l’interrogativo su quanto sia pericoloso questo coronavirus. Pare che lo sia soprattutto per le persone anziane e malate, ma questo, anziché servire a minimizzarne la portata, dovrebbe piuttosto renderci ancora più responsabili, poiché anziani e malati, quindi le persone più vulnerabili, hanno lo stesso diritto nostro di essere protette dal contagio. Come hanno già scritto altri, serve una grande dose di buon senso e la disponibilità ad adattarci ad una situazione che muta di giorno in giorno.