Nella Germania del tardo Medioevo, quando le città erano largamente autonome nella gestione degli affari interni, accadeva spesso che i malati di mente fossero esiliati dal luogo natale. Venivano allora caricati a forza su uno dei tanti battelli che trasportavano merci nelle acque interne e scaricati di nascosto in qualche altra città. Come ci ricordava Michel Foucault in Storia della Follia nell’Età Classica, nel 1399, a Francoforte, ci si liberò così di un pazzo che girava nudo per le vie della città. Alcuni anni più tardi un folle criminale venne allo stesso modo spedito dalla città di Magonza. Un fabbro infermo di mente fu per due volte imbarcato per la deportazione ancora a Francoforte per poi tornarsene a piedi nella città natale.
L’usanza era sicuramente più antica di quanto ci tramandino gli scarni documenti a proposito. Il folclore relativo al Narrenschiff – «La Nave dei Folli» – era infatti diffuso ai tempi nell’intera Europa del Nord. Si credeva, si tramandava, si paventava nelle taverne degli angiporti che navi cariche di folli vagassero lungo quelle vie di comunicazione difficilmente controllabili che erano i canali, i fiumi e le acque interne paludose, pronte a scaricare nottetempo il loro carico sui pontili delle tranquille e indaffarate città mercantili. Erano – si badi – i secoli della paura del contagio e dei terrori che ne derivavano. La lebbra era ancora considerata contagiosa, e si era capito come la peste fosse trasmessa dai carichi che dall’Oriente giungevano in Europa nelle stive delle navi. Se quelle potevano essere messe in quarantena, l’innumerevole sciame del naviglio minore che solcava le acque interne era invece incontrollabile e dunque tanto più pericoloso. La Follia, poi, forma strana di morbo situata a metà strada fra la colpa morale e l’incolpevole fisiologia, misteriosa fusione di Bestialità e Ragione (non erano forse i Buffoni di Corte – i Folli patentati – coloro che potevano sbattere in faccia ai Re le verità più scomode, i paradossi più evidenti e dichiarare che anche il Re è nudo?). Ambigua e scivolosa, scomoda e proverbiale, la Follia medievale bene si prestava ad un’epoca che vide, con il fiorire dell’Umanesimo, il ricorso all’allegoria come mezzo per mettere alla gogna vizi e peccati del secolo.
Stultifera Navis – La Nave dei Folli – era il titolo della traduzione latina a firma di Jachob Locher, pubblicata nel 1497, dell’opera dell’umanista alsaziano Sebastian Brant, che aveva visto la luce a Basilea nel 1494. In 112 satire Brant aveva messo in piazza vergogne e scandali del suo tempo, ed in primis quelle riscontrabili in ambiti ecclesiastici. Giocando sulla coincidenza fra «navis – imbarcazione») e «navis – navata delle chiese», Brant aveva inaugurato un genere di satira di costume consacrato poi da Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della Follia (1509) per essere trasmesso poi al pubblico più in forma mediatica visuale da una quantità di artisti ispirati dal tema che vanno da Dürer a Bosch. Fast forward – per restare in gergo mediatico – e il tema si ripresenta oggi con la vicenda dei migranti del Mediterraneo. Cresce nella cosiddetta «opinione pubblica» – che a volte altro non è se non una versione neanche tanto più sofisticata di quello che per altre epoche chiamiamo «folclore» – una nuova paura del Contagio Che Viene dal Mare. Nottetempo, in maniera misteriosa, disordinata, inarrestabile – in sostanza «folle» in quanto irrispettosa di quella «sicurezza» che sembra essere diventata la parola d’ordine di una forma di civilizzazione che ama il frisson della paura – centinaia di natanti malsicuri e fatiscenti – anch’essi dunque «folli», si avvicinano nottetempo alle «nostre» coste pronti a scaricare un contagio che – a detta di molti – rischia di mettere fine al mondo civile così come lo conosciamo.
Non si fra-intenda l’Altropologo: il problema c’è, ed è un problema serio e reale tanto a Sud quanto a Nord e quanto in mezzo sta fra il Sahara e la Scandinavia. Ma quello che colpisce della contemporaneità è che la percezione culturale della crisi migratoria sembra dipanarsi fra le elaborazioni folcloriche del populismo catastrofista e le contro-deduzioni di una miriade di opinionisti, censori, moralisti, filosofi e meno, e tutti l’un contro l’altro armati. Latitante, assente come se la cosa non la riguardasse, la Grande Politica. Intenta più al piagnisteo ed allo scaricabarile (è colpa tua/no è colpa sua; io sì però ve lo avevo detto/no guarda che il microfono era rotto e non ha sentito nessuno; sono fatti vostri – anzi loro) che ad una risposta vigorosa e responsabile ad un fatto che tutti ci riguarda. Insomma: una pena. Scriveva Friedrich Engels a Karl Marx il 3 Dicembre 1851: «(la Storia) si presenta in prima battuta come tragedia, la seconda come farsa…». Occorre oggi, al nostro proposito, sovvertire il verdetto: farsa della paura e dell’impotenza allora, tragedia con gli stessi e medesimi protagonisti oggi. Kyrie eleison.