Mezza Francia a piedi

/ 30.04.2018
di Paola Peduzzi

Emmanuel Macron è stato in visita a Washington, da Donald Trump, le foto e gli scambi affettuosi sono diventati virali: i due «maverick» del sistema (la definizione è del presidente francese), due dissidenti che hanno vinto la presidenza in modo inaspettato nei rispettivi paesi, parlano lo stesso linguaggio, si sono riconosciuti, e abbracciati tantissimo, anche se il macronismo è l’opposto del trumpismo. È difficile fare la classifica dei momenti più accorati, ce ne sono stati molti, il «Washington Post» ha montato un video-capolavoro sulla «bromance» dei due leader: le mani strette, il bacino di Trump con l’aggiunta «lui mi piace tantissimo», la forfora tolta dalla giacca perché, ha detto Trump, «tutto deve essere perfetto, tu sei perfetto», l’occhiolino di Macron, e poi ancora abbracci, mani che si intrecciano, sorrisi. Partendo il presidente francese aveva detto che la sua missione era consolidare «la special relationship» con l’America (i partner speciali di sempre, gli inglesi, non hanno molto gradito) mettendo in chiaro però che sui temi su cui ci sono molte divergenze, come il nucleare iraniano, i trattati di libero scambio, il futuro della Siria e il rapporto con la Russia, sarebbe stato molto diretto e convincente. Non si sa se lo sia stato, a prima vista non sembra, ma certo l’amicizia pare solida, e la parentesi di effusioni è servita a entrambi per prendere un po’ di respiro dalla politica domestica, che per i due maverick non è sempre accogliente (per quello americano, quasi mai).

In Francia si celebra il cinquantenario del Sessantotto – il mitologico maggio francese – e allo stesso tempo c’è un presidente né di destra né di sinistra con il piglio da turboriformatore: la piazza è sempre piena. Gli scioperi più imponenti sono quelli dei trasporti, i treni a disposizione sono quasi dimezzati (anche Air France ha molti problemi a garantire il servizio aereo), ogni giorno il bollettino dei mezzi disponibili fa infuriare mezza Francia: i telegiornali sono pieni di interviste a cittadini stremati dall’impossibilità di circolare in pace – circolare in pace per andare a lavorare, soprattutto. Ma poiché sono passati 50 anni dal Sessantotto e nel frattempo siamo entrati in una stagione in cui gli antidoti a certi guai si trovano in modo più veloce e diretto, anche il megasciopero è stato un po’ contenuto. Dal liberalismo in stile Macron poi, beffa completa: Blablacar, azienda di car sharing, ha fatto corse tre volte più numerose rispetto alla media; Uber (che in Francia non ha avuto vita semplice) e il suo concorrente locale, Francia Chauffeur Privé, hanno detto di aver avuto un incremento di chiamate del 30 per cento. Anche le compagnie di autobus a basso costo, come Flixbus o Ouibus, dichiarano di aver avuto un aumento considerevole di richieste e clienti, soprattutto tra i giovani che sono quelli che dipendono di più dai trasporti pubblici.

Poi ci sono le università mobilitate, aule occupate, sit-in, agitazioni in diretta sui telefonini. La polizia ha già sgomberato molte sedi, blitz notturni che non sono passati inosservati ma che allo stesso tempo non hanno causato eccessivo scandalo: sono tanti, al contrario, gli studenti che non vogliono (o non possono, per ragioni economiche) scioperare. La compattezza del maggio francese, quello vero, non è stata ancora replicata, vuoi perché c’è meno ardore politico, vuoi perché la riforma dell’accesso alle università non è poi così controversa, vuoi perché la competitività importata dal confronto con altri paesi impone ritmi più rapidi anche agli universitari. Non posso permettermi di perdere la sessione, dicono ai giornali gli studenti che non vogliono perdere il passo, già il mercato del lavoro non è così florido, se perdi anni perdi occasioni.

Molti commentatori sottolineano che proprio questa fretta è il dramma dei nostri tempi, ma di fatto ha disinnescato – finora, almeno – buona parte del potenziale di queste manifestazioni, che hanno un gusto retrò non sempre dolce, la maglietta di Che Guevera nel 2018 appare in effetti un po’ antica. La ripercussione politica però esiste: la sinistra, tra gli Insoumis di Jean-Luc Mélenchon e la Génération.s di Benoit Hamon, ex leader dei socialisti annichiliti alle presidenziali, cerca di intestarsi la piazza, per creare un’opposizione al presidente che abbia il sigillo della popolarità. Per ora l’operazione non sta andando bene, ma ci sono molti dossier su cui il governo avrà vita complicata, anche in Parlamento: molti predecessori di Macron finirono per arrendersi, lui sembra determinato a non farlo, ma il chiacchierato slancio liberale della Francia passa anche da qui.