Mentre da noi si litiga per il 5G

/ 02.12.2019
di Ovidio Biffi

Esattamente un anno fa in Canada, su mandato di cattura emesso dall’amministrazione Trump, veniva arrestata Meng Wanzhou, cittadina 47.enne con passaporto di Hong Kong e direttore finanziario di Huawei, un impero che in Cina dà lavoro a 180mila persone, creato e guidato ancora da suo padre, Ren Zhengfei, abile imprenditore, in origine ex ingegnere dell’esercito popolare di liberazione. Secondo gli Stati Uniti proprio questa provenienza sarebbe la prova degli stretti rapporti esistenti fra il più grande fornitore di servizi e sistemi di telecomunicazioni e dei dispositivi smart a livello mondiale e i massimi dirigenti di Pechino. Il fermo di Meng Wanzhou, nonostante si sia concluso in sordina con un rilascio dopo 3 mesi, viene considerato l’inizio della guerra fra Cina e Usa per la supremazia mondiale nel campo delle nuove tecnologie di comunicazione.

L’episodio mi è tornato in mente confrontando due notizie di metà novembre. La prima riguardava un comunicato dell’azienda leader della telefonia in Svizzera: «Malgrado la resistenza al 5G di una parte della popolazione e delle autorità, Swisscom ritiene, come promesso, di poter coprire entro la fine dell’anno oltre il 90% della Svizzera con la rete mobile di nuova generazione, grazie verosimilmente alla condivisione dinamica dello spettro delle antenne esistenti». Il tono abbastanza trionfalistico dell’annuncio viene smorzato dal fatto (non citato) che il 10% ancora senza copertura non concerne valli discoste, come capitava per la diffusione dei canali tv o di internet, bensì gli agglomerati più popolati, vale a dire le grandi città. E questo per Swisscom è sicuramente un problema.

Lo stesso giorno un’altra notizia, reperibile sui giornali di mezzo mondo, richiamava ancora più direttamente l’arresto della signora Meng Wanzhou e il conflitto Cina – Usa: «Non si sono ancora spenti gli echi della guerra sulle tecnologie di quinta generazione (5G), che la Cina annuncia il Piano per lo sviluppo del 6G. Una rivoluzione tecnologica, le cui implicazioni sfuggono talmente, che sarà sconvolgente». Ecco, mi sono detto: mentre da noi si continua a discutere e a litigare per stabilire se i campi elettromagnetici possono influenzare la nostra salute, i cinesi ci fanno capire che il 5G è già in odore di obsolescenza.

Ecco confermato un mutamento di scenario già intuibile mesi fa in un tweet stizzito del presidente Usa: «Voglio la tecnologia 5G, e anche 6G, negli Stati Uniti il prima possibile. Non c’è alcuna ragione per cui dovremmo rimanere indietro». Poco dopo Trump esortava l’Unione europea a controllare i giganti informatici cinesi, menzionando la necessità di difendersi dai loro hacker e da operazioni di cyberspionaggio (nessun accenno trumpiano ad analoghi e sempre più concreti pericoli targati Silicon Valley...).

Se in questo scenario innestiamo anche gli investimenti mirati che Pechino sta realizzando un po’ in tutto il mondo, seguendo strategie per accaparrarsi terre rare e minerali «nobili» per le nuove tecnologie, è facile intuire la portata degli interessi e dei privilegi che gli Usa vogliono difendere. Siamo in piena geopolitica e, in attesa di leggere La nuova guerra fredda di Federico Rampini, trovo aiuto in un libro edito dalla Luiss University Press e scritto da una preparatissima coppia: Luca e Francesca Balestrieri, lui direttore responsabile delle Piattaforme digitali Rai, la figlia ricercatrice nel campo della matematica pura, come pure di intelligenza artificiale e nuove tecnologie. Il loro Guerra digitale è infatti un’ampia e minuta cronaca centrata sulla guerra economico-commerciale fra Stati Uniti e Cina e la parallela corsa per la conquista della leadership tecnologica.

Il bersaglio grosso, anche se formalmente l’amministrazione Trump porta avanti la guerra su dazi e interscambio commerciale, resta infatti la supremazia nelle nuove tecnologie e al centro troneggia la concorrenza che Huawei riesce ad attivare un po’ ovunque nel mondo (proprio come l’Ue fa con l’Airbus in campo aeronautico). Ma un anno dopo l’arresto della signora Wanzhou, Huawei è sempre in crescita e Pechino non solo dimostra di sopportare le restrizioni Usa ma prosegue anche il programma di trasformazione «Made in China 2025» che, proprio grazie al 6G, dovrebbe consentire alla Cina di «superare gli Stati Uniti nel settore dell’intelligenza artificiale, della robotica e dell’internet delle cose, dei dispositivi intelligenti e interconnessi».

Il lato paradossale della titanica contesa è che nessuno oggi sa esattamente cosa si potrà fare con il 6G. Anche gli esperti si limitano a dire che esso, abbinato all’intelligenza artificiale, consentirà cose incredibili, ipotizzando per ognuno di noi «non più uno smartphone ma una “traccia digitale” che ci seguirà ovunque, una sorta di “cloud” personale che in ogni momento ci consiglierà su cosa fare». Sarà il «Mondo Nuovo» preconizzato da Aldous Huxley? Quello in cui adoreremo la tecnologia che ci libera anche dalla fatica di pensare?