Materie umanistiche, perché studiarle?

/ 12.11.2018
di Maria Bettetini

Stem! Stem! Un solo grido si sente nelle famiglie di ragazze e ragazzi agli ultimi anni del liceo. Stem, ossia Science, Technology, Engineering and Mathematics, è l’acronimo con cui si intendono le cosiddette «scienze dure», che a buona ragione sono considerate un ottimo investimento nel campo degli studi. È vero, chi studia chimica, ingegneria, matematica difficilmente rimarrà senza lavoro, soprattutto se raggiunge un livello accettabile di preparazione; avrà inoltre maggiori probabilità di ottenere borse di studio e poi un’assunzione anche all’estero. Il fatto che siano corsi di laurea scelti perlopiù da maschi porta grande agitazione, tanto che marzo, il mese dell’8 marzo per intenderci, è anche il «mese delle Stem», costellato da premiazioni e concorsi per studentesse di queste discipline.

Non è da disapprovare la lodevole intenzione di incoraggiare tutti, soprattutto le ragazze, a dedicarsi a materie utili, magari un po’ aride, certamente non sempre facili e comunque in grado di garantire un posto di lavoro. Alcuni governi non si limitano a premi e concorsi, avanzano proposte molto più integrali: il Giappone per esempio sta esaminando la possibilità di eliminare del tutto i corsi di laurea in materie umanistiche, o di consentirli solo nelle (poche) università private, una sorta di passatempo per ricchi, come le scuole che in Gran Bretagna preparano a essere ricca moglie di ricchi.

D’altra parte, a cosa serve studiare letteratura, storia, filosofia? L’infarinatura delle scuole – sempre comunque eccessiva – è sufficiente per non fare brutta figura nelle conversazioni o per capire dove è ambientato un film. Non saranno certo la poesia o la pittura a favorire la scoperta della cura per il cancro o della soluzione al riscaldamento globale. D’altra parte, però, non sono loro nemmeno a inventare nuove armi o nuovi velenosi prodotti alimentari chimici a buon mercato. Il «problema» delle Stem, infatti, è che insegnano, per dirla con Galileo Galilei, «come vadi il cielo» ma non «come si vadi al Cielo», dove in questo frangente intendiamo per Cielo una situazione umana ottimale, anche su questa terra. Insegnano il che cosa e come, non il perché, quando, se.

Se dalla nostra vita escono del tutto le scienze umane, in fretta dimenticheremo la grandezza e la complessità dell’umano e ci penseremo uguali alle macchine che costruiamo. Suddivideremo le persone in utili e inutili in base al loro contributo alle tecniche, considereremo perdenti, e forse anche un po’ stupidi, coloro che dedicano la loro vita alla filosofia o alle lettere. Ma perché parlo al futuro? È già così. Chi si occupa di scienze umane ha stipendi bassi, poca visibilità, poca stima in generale. Quindi anche chi si iscrive a storia, lettere, filosofia. Infatti persone come Sergio Marchionne e Carlo Azeglio Ciampi sono da considerare oscuri esempi di un’umanità fallita, tristi personaggi degni di un racconto di Tolstoj. Quegli impiegatucci dai vestiti lisi e poco puliti, quei Fantozzi che hanno intristito ogni epoca.

Perché Marchionne, si sa, era laureato in filosofia, mentre Ciampi aveva studiato alla Normale di Pisa: lettere antiche, con una tesi in filologia greca su Favorino d’Arelate e la consolazione dell’esilio. Favorinus, nato nell’attuale Arles, vissuto tra il primo e il secondo secolo d.C., era un oratore greco, una figura decisamente secondaria, occuparsene è da intendersi come un segno di grande passione per la lingua greca antica e i suoi rappresentanti. Ma non parliamo solo di personaggi legati all’Italia e a generazioni passate, si potrebbe sempre dire che una volta era diverso, importava meno la preparazione tecnica, bastava essere bravi e si scalavano le posizioni lavorative.

Guardiamo all’oggi, al mondo dei social, dove senza uno schermo siamo perduti, altro che radicamento nell’essere metafisico. Per esempio, che studi avrà fatto l’inventore di LinkedIn, uno dei pochi network ancora ben attivo dopo quindici anni? Reid Hoffman nel 1993 aveva concluso i suoi studi a Harvard con un master in filosofia, nel 2003 fondava LinkedIn, che nel 2017 superava i 500 milioni di utenti. Parliamo invece di un mito, quel Jack Ma, il magnate cinese fondatore del fortunatissimo Alibaba (oggi valutato circa trenta miliardi di dollari): laureato in lingua e letteratura inglese.

E ora una donna, anzi due: Sheila Bair e Susan Wojcicki. Sheila, laureata in filosofia all’Università del Kansas, è stata presidente della Federal Deposit Insurance Corporation statunitense proprio negli anni dell’ultima crisi, quella iniziata nel 2008. Susan, laurea a Harvard in storia e letteratura, è attualmente amministratore delegato di YouTube, il paradiso dei tecnologi. Chissà se non avessero seguito le loro passioni, magari oggi avrebbero un posto sicuro in un laboratorio.