Una trentina di anni fa fui invitato da due colleghi della rifondata università di Treviri (quella che esisteva dal Medioevo era stata chiusa, a suo tempo, da Napoleone) per un breve ciclo di lezioni e seminari. Uno dei colleghi fu tanto gentile da ospitarmi nel suo appartamento che si trovava nella stessa strada del centro nella quale si trova, ancora oggi, la casa natale di Marx con il suo piccolo museo. Potevo così osservare dalla finestra della mia camera il flusso di visitatori. In quei tempi la fama di Marx, però, era scesa al suo minimo: i visitatori erano pochissimi. Giorno per giorno si vedevano entrare nella casa-museo un paio di tedeschi dell’Est e un pugno di cinesi.
Dal 2008 in avanti, in seguito alla crisi finanziaria mondiale, Marx è invece ritornato in auge. La sua figura e la sua opera hanno ritrovato una certa popolarità anche tra gli studiosi di economia e di sociologia. Le sue leggi, in particolare quella sulla fine del capitalismo sono state riprese e, se così si può dire, aggiornate. La fine del capitalismo è diventata un argomento di ricerca di grande attualità nelle università europee e nordamericane. A voler raccogliere i volumi che sono stati pubblicati nel corso degli ultimi dieci anni su questo tema ci sarebbe da riempire una biblioteca. Ne cito qui solo quattro per dare un’idea dell’intensità e dell’ampiezza di questo dibattito.
Dapprima le 17 contraddizioni e la fine del capitalismo scritto da David Harvey , geografo, antropologo, sociologo e politologo britannico, che, come molti lettori sanno, è sempre stato un convinto marxista. In questo volume Harvey esamina i problemi economici e sociali del mondo di oggi, mettendo a nuovo, se così si può dire, la tesi marxista della fine del capitalismo. Quello di Harvey è un manifesto comunista del Ventunesimo secolo nel quale il termine comunismo viene sostituito dal termine umanismo rivoluzionario.
Tomas Sedlacek, economista ceco autore di diversi bestsellers critici, se non del capitalismo, dell’economia della crescita, è tornato di recente sull’argomento scrivendo, insieme a Oliver Tanzer, I demoni del capitale, nel quale fa la psicanalisi dell’economia della crescita, e, utilizzando, more suo, la mitologia greca nei titoli dei singoli capitoli, cerca di trovare una terza via, una via che dovrebbe essere più giusta, tra il neoliberalismo e il marxismo radicale. Nei singoli capitoli sviluppa gli argomenti che spiegano perché questa via sia necessaria. Che sia anche realizzabile resta purtroppo da vedere.
Abbiamo poi uno dei nuovi libri di Robert R. Reich, prolifico economista americano. Il suo titolo, nella traduzione italiana è Come salvare il capitalismo; nell’edizione originale figurava anche un sottotitolo interessante che in italiano potrebbe essere tradotto così: «non per pochi, ma per la maggioranza». Anche qui siamo dunque alla ricerca di una terza via che per Reich è rappresentata da quello che John Kenneth Galbraith chiamava «the countervailing power», ossia il contropotere, il potere che può opporsi. Si tratterebbe di ridar nuova vita ad istituzioni e a regole del gioco che consentono di mettere le redini al capitalismo. Reich vede con ottimismo il futuro. Le rivoluzioni tecnologiche in atto ci aiuteranno a creare abbastanza impiego per tutti. Se poi dovessimo riuscire a imbrigliare nel giusto modo le forze del mercato, in modo democratico, ossia con decisioni prese dall’elettorato dei singoli paesi, il capitalismo potrà, senza ombra di dubbio, essere salvato a beneficio dei più.
Per un economista americano che si dichiara ottimista sul futuro del capitalismo ecco un giornalista inglese che invece si dichiara molto pessimista. Si tratta di Paul Mason con il suo Postcapitalismo, una guida al nostro futuro. Per Mason il futuro della nostra economia si trova fuori del mercato e oltre le sue leggi. Dunque Marx aveva ragione? Mason bilancia: Marx è certamente l’economista che meglio ha compreso la natura delle crisi economiche; ma l’economia che studiava era quella del diciannovesimo secolo, non quella di oggi.