Love, il capitale vince sempre

/ 12.06.2017
di Maria Bettetini

Non tutto il male viene per nuocere, mal comune mezzo gaudio, ogni lasciata è persa, si saranno detti i musicisti inglesi e americani il 23 maggio, quando circolò la voce che dieci giorni dopo sarebbe stato organizzato un grande show a favore dei famigliari delle vittime della strage di Manchester. I terroristi uccidono bambini e ragazzini alla fine del concerto di Ariana Grande, e mentre il mondo in ansia si domanda dove porterà questa (nuova?) ondata di violenza sempre più acuminata, sempre più crudele, qualcuno pensa che l’occasione sia succulenta. Ariana, in fondo, la ragazza-bambina dai capelli lunghi come Raperonzolo, dagli occhi grandi come Bambi, in fondo è una scampata. Non sarà dunque offensivo cantare e ballare a pochi giorni dalla strage, perché sarà un modo per festeggiare i salvati e per dimostrare che non abbiamo paura.

Chissà che paura, i terroristi, a vedere che non abbiamo paura. Così ecco invitati o autoinvitati tutti i grandi e famosi tra gli artisti amati dai ragazzini, tutti i pop, i rock, i britrock, i garage etc. più popolari. In effetti, leggendo la lista degli invitati, non manca nessuno: Justin Bibier, presente, Robbie Williams, presente, e l’altro Williams, Pharrell (ma non sono parenti, direi), pure, ma sì quello di Happy di due anni fa. E poi i Take That, i Coldplay, e quelle distinte anime buone di Miley Cyrus e Liam Gallagher. Liam, tra l’altro, fortunatissimo: la strage è capitata a una settimana dall’uscita del suo primo album da solista, dopo tre anni di silenzio. Solo un anno fa aveva detto, anzi scritto in un tweet: «Disco solista? Ma, cxxx, siete in trip? Teste di cxxx, io non sono uno sxxx», con riferimento al suo precedente tweet «la musica nel Regno Unito è stata rapita da grandissimi sxxx, sono felice di esserne uscito». Dopo un anno scrive: «è ufficiale, sono uno sxxx», annunciando così il suo ritorno sulle scene. Quale migliore occasione di una strage di bambini e di un concerto riparatore intitolato One love Manchester? (che non significa che uno, un tizio ama la città britannica, perché love non è verbo – sarebbe loves – , significa «Manchester, un solo e unico amore», un po’ come la canzone del Volo a Sanremo, Grande amore). Infatti nel nome di questo unico grande etc. sentimento, Liam sul palco ha poi definito il fratello Noel «un grande cxxxone», perché non era anche lui al concerto del volersi bene tutti. Per fortuna ci ha pensato l’ufficio stampa o chi per lui dei Coldplay a far giungere, due giorni dopo, parole di distensione: grazie Noel per le tue canzoni, domenica in spirito tu eri con noi sul palco e così via. Per ancora maggior fortuna, noi dobbiamo andare in stampa prima che Liam Gallagher possa rispondere ai Coldplay, la tastiera potrebbe rifiutarsi di scrivere altre x.

Interessante dunque lo svolgersi delle cose: terroristi «cani sciolti» obbediscono all’invito dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi e colpiscono l’Occidente nei suoi riti e nei suoi miti, alla fine di un concerto della musica più consumistica del mondo. Ariana Grande infatti è statunitense (ovviamente di origini siciliane e abruzzesi), è diventata famosa recitando nelle sit-com televisive, ha inciso cover e da qualche anno canta e balla in fantasmagorici tour che tanto piacciono ai ragazzini, che così vengono distratti da ogni altra attività, compreso lo studio del Corano, fossero musulmani o convertiti all’Islam. Ma il capitalismo occidentale se la ride di tre terroristi (tra i quali uno di madre italiana, tanto per non farci mancare nulla), e se la ride anche di una ventina di ragazzini morti. Che poi, «occidentale»: diciamo il capitalismo, non quello obsoleto di Marx, che angheria i proletari e s’ingrassa col plusvalore, piuttosto il capitalismo dove il capitale è il padrone, dove i soldi si fanno coi soldi, dove niente e nessuno è più forte dei soldi.

Così, questo capitalismo che è occidentale e orientale, arabo e israeliano, bianco e nero, che non fa differenze nello scegliere i pochi al comando e i molti al macello, se la ride. Come molte altre volte, tira fuori dal cappello quella parolina di quattro lettere, love, stavolta ci lascia dentro l’altra di cinque, peace, perché si rivolge ai giovanissimi e non vuole confonderli. Dice «one love», per chiarezza, promette beneficenza per le vittime. Quindi dal ricavato del concerto – tutto esaurito – si toglieranno le cosiddette spese vive, non i cachet ma certo i rimborsi dei cantanti (va bene la bontà, però anche rimetterci no), probabilmente quelle spesucce per strumenti e diritti, e si farà tanta beneficenza: ai famigliari delle vittime, e alle major discografiche, che hanno avuto 195 minuti gratuiti di pubblicità in mondovisione. Cari terroristi, in linea di massima morti, lo vedete che vi fate del male? Non solo perché morite, non solo perché i popoli colpiti «si stringon a coorte». Perché il capitale è come il banco, vince sempre.