L’ossatura del futuro ordine mondiale

/ 06.05.2019
di Peter Schiesser

La Belt and Road Initiative (BRI), la nuova e ramificata Via della Seta, sarà l’ossatura del nuovo ordine economico euroasiatico, attraverso mari e continenti, con un impatto mondiale, a guida e dominanza cinese. Nessuno può prevedere quali contorni avrà, come si svilupperà questo planetario progetto di opere infrastrutturali, se avrà successo, ma il fatto che fin qui siano stati liberati 1000-1300 miliardi di dollari fa capire che si sta facendo sul serio. Lo ha dimostrato anche il secondo forum dedicato alla BRI a Pechino, alla presenza di rappresentanti di 150 paesi, 37 capi di Stato o di governo, fra cui il presidente della Confederazione Ueli Maurer. Negli Stati Uniti, per fare un confronto, la promessa elettorale di Trump di rimettere a nuovo autostrade e ponti è rimasta lettera morta e la richiesta di poco meno di 6 miliardi di dollari per il muro con il Messico ha provocato la chiusura per settimane dell’amministrazione statale.

Certo, qualche brivido lungo la schiena corre, a vedere con quanta solerzia e acriticità mezzo mondo accorre a Pechino alla corte del nuovo imperatore celeste: con Xi Jinping la Cina è tornata pienamente sotto il controllo del partito comunista, le voci dissidenti sono ancora meno tollerate, nello Xinjiang un milione (!) di uiguri sono finiti in campi di rieducazione, c’è un controllo sempre più pervasivo della popolazione. Ma di diritti umani gli europei neppure parlano più quando si recano in Cina, si accontentano di non farsi fagocitare economicamente, di non dover cedere il loro sapere tecnologico, di chiedere aperture economiche, non certo politiche. Pare ormai chiaro che la Cina non diverrà un paese democratico, non in senso occidentale, e nella mente di molti politici e imprenditori europei tanto vale arrangiarsi con questa realtà, traendone i vantaggi possibili, perlomeno evitando gli svantaggi.

A dire il vero, in Occidente molti politici e osservatori guardano ancora con molto sospetto alla Cina, benché non tutti. Il governo degli Stati Uniti sta cercando di convincere gli alleati europei a rifiutare la tecnologia della cinese Huawei sul 5G, con alterni successi, e l’Unione europea ha definito «avversario strategico» la Cina. Tuttavia, l’Italia, come primo paese dell’Ue, ha firmato un Memorandum of Understanding con la Cina in relazione alla BRI, la Grecia e l’Ungheria (destinatarie di investimenti cinesi) bloccano risoluzioni di condanna della Cina in materia di diritti umani. «Dividi e lega», anziché «dividi e impera», ha definito in un’intervista alla NZZ (25.4.19) la strategia della Cina l’ex ministro portoghese per gli affari europei Bruno Maçaes, oggi analista a Pechino: la Cina teme un’Europa forte, quindi tende a creare divisioni. Allo stesso tempo, dice Maçaes, questa è una chance per l’Europa per rafforzare la sua unione: in passato non ne ha mai davvero avuto bisogno, ora, con un avversario così formidabile come la Cina, potrebbe essere giunto il momento – tuttavia deve trovare una forma d’intesa con la Cina.

E la Svizzera? Anche Ueli Maurer, accolto in pompa magna a Pechino, ha firmato un Memorandum of Understanding sulla BRI, ma non tanto in quanto paese di transito della nuova Via della Seta, bensì per migliorarne il concetto stesso, affinché diventi più rispettosa dell’ambiente, trasparente, con responsabilità sociale, aperta a capitali privati, vantaggiosa per tutti, e non diventi una trappola del debito per i paesi che accettano i crediti cinesi. Xi Jinping ha promesso di muoversi in questa direzione. Si misurerà la Cina con i fatti, ma per ora non pochi hanno accusato Maurer, e quindi la Svizzera, di estrema ingenuità e di essere stato soprattutto utile per la propaganda cinese.