L'orrido di Osteno

/ 06.08.2018
di Oliver Scharpf

La prima volta me ne aveva parlato un antiquario di Lugano. Da Lugano, ai tempi, partiva un battello al giorno per Osteno dove l’orrido era una grande attrazione, oggi caduta in rovina. Lì ci avevano girato una scena madre di Malombra (1942). C’era anche un crotto all’entrata, mentre un barcaiolo attendeva i visitatori per condurli romanticamente dentro l’orrido. Solo con questa barchetta e una lunga pertica si poteva penetrare nelle gole per ammirare «la sala del trono» come la chiama Fogazzaro in Malombra (1881). Romanzo dal quale è stato tratto il film di Mario Soldati e dove un intero capitolo – senza toponimi, a differenza dei tanti sulla riva opposta della Valsolda di Piccolo mondo antico portato sul grande schermo sempre da Soldati – è dedicato alla visita dell’inconfondibile orrido.

Al bar, un pomeriggio di fine maggio, appena parlo di orrido, il barista chiama il Pierino. Piccoletto, berretto dell’Heineken, bermuda jeans fatti in casa. È l’ultimo barcaiolo dell’orrido sfruttato turisticamente dal 1878 al 1968 e citato anche in una poesia di Pirandello del 1896. Tuttora proprietà privata, «della famiglia del Marescial Dotto» mi dice il Pierino. Mi porta dentro ma non è il momento, «c’è la piena, troppa acqua». Perdipiù è pericoloso entrare dopo tante piogge, vengono giù sassi, tronchi . In agosto, «prima de mesdì», quando la luce entra da sopra e illumina «l’altare». E così, un mattino ai primi di agosto, dal battello Lugano-Porlezza sbarco di nuovo a Osteno che con Claino, qualche tornante più in su, forma il comune di Claino con Osteno. «Il Pierino non si è ancora visto, di solito a quest’ora è già qui» mi dice il Mimmo, gestore siciliano del bar del Porto che mi indica la stradina dove abita. Lo incrocio prima, per strada. Ci accordiamo per le undici e mezza al bar. L’orario ideale per essere dentro l’orrido è mezzogiorno e mezza, afferma oggi. Una signora si ferma a salutare il Pierino e ricorda con nostalgia quando c’era il crotto : «andavamo lì al fresco a mangiare il salame, che bello, un peccato». Stivaloni alti da pescatore in mano, il Pierino arriva al bar dove mi sono scolato due chinotti alla faccia della canicola. Prima del ponte, un lucchetto apre un cancello arrugginito che ci introduce nell’antico accesso consueto, costeggiando la sponda destra del Telo di Osteno che sfocia laggiù nel lago di Lugano.

Classe 1942, una vita a fare il muratore in Ticino, con cura sceglie un bastone di carpino. Arriviamo alla chiusa scassata che creava il laghetto dov’era ormeggiata la barchetta di legno. Costruita apposta con due prue, come la canoa, per entrare nella gola stretta erosa in milioni di anni dal torrente, adesso in periodo di magra. Il crotto-chalet cade a pezzi, il cornicione di legno intarsiato penzola. Il declino incomincia con lo scemare dell’orridomania negli anni sessanta, un po’ come era successo tempo prima ai panorami. Tra le ortiche il Pierino incomincia a cristare. La barca non c’è e non è la prima volta. Meno male l’avvista spiaggiata, appena prima dell’entrata dell’orrido. «Se al cati al copi» dice sistemando la barchetta di plastica blu nell’acqua. Si salpa sballottando, io seduto sull’assicella a poppa e il Pierino in piedi che maneggia il bastone come i gondolieri veneziani. Dentro la gola, alla terza bestemmia, con la barca che balla, un po’ mi preoccupo. In quel punto non si aspettava l’acqua così profonda, ci voleva forse un bastone più lungo, mi dice di non muovermi. La paura lieve però presto si fa leggera ebbrezza ; prevale su tutto l’avventurarsi tra ancestrali pareti di roccia tenebrosa. Un filo di luce scende da sopra e illumina la conformazione stratificata del calcare di Moltrasio. Controcorrente penetriamo man mano nell’orrido : ora è talmente stretto che il Pierino, per avanzare, dà con maestria dei colpetti di pertica alla roccia a destra e sinistra. Mossa magica tramandata da un secolo all’altro. A fine Ottocento, lo stesso movimento, l’avrà eseguito Giovanni Bernasconi, il «Caronte» dantesco di Fogazzaro, per accedere al «rotondo tempio infernale con un macigno nel mezzo, un deforme ambone per la messa nera».

Siamo nell’agognata sala del trono ai fianchi del quale scendono due cascatelle spumose. La luce a quest’ora scende dall’alto e accarezza il masso rugoso. A monte si avvista una cascata più copiosa, poco sopra si è unito al Telo, il Lirone. L’orrido di Osteno (277 m) è bellezza pura, esoterica, catartica. Ottimo il risotto al pesce persico con i filetti dorati e la salvia adagiati sopra. L’ha consigliato vivamente il Mimmo che ha contribuito all’insperata riscoperta del meraviglioso orrido dimenticato. Il Pierino, tutto fiero, mangia di gusto il risotto e saluta tutti. Oggi il cappellino è nero con ricamato su in oro il nome di una località balneare egiziana in cui non ci è mai stato: Marsa Matruh. Un regalo del Mimmo che nell’orrido non ci è mai stato. «È il più grande rimpianto della mia carriera, ne soffro ancora oggi» confessò Mario Soldati per non aver insistito a imporre ai produttori Alida Valli, al posto della pallida Isa Miranda, come protagonista del film.