Infine è successo: con due magici clic ho cancellato tutto lo storico delle mail. Poi, nel giro di poche ore, zelante ho fatto un backup, nel computer imprestato perché il mio si è rifiutato di accendersi (forse scandalizzato dai miei clic). Ho salvato i dati di colui che ha fatto il prestito, ho perso tutto quello che io avevo scritto e salvato per anni.
Mi viene da piangere? No, perché perdere tutto è un modo per ricominciare, e poi qui e lì qualcosa ritroverò. I miei libri non esistono perché sono in una cartella, ma perché qualcuno li sfoglia e legge. Gli articoli, per «Azione» o per altri giornali: se vi piacciono, li ritagliate, lo so. Quando insegnavo a Ca’ Foscari, ho fatto un viaggio con una coppia di simpatici, e attempati, ticinesi, per caso. Stavano appunto ritagliando qualcuno dei nostri lavori. Le relazioni mi interessano vive, occhi negli occhi. L’agenda? Se non scrivo con penna o matita non ricordo alcunché.
Cielo, come sono antica, retrograda. Ma credo di essere in buona compagnia. Gli antichi definivano la memoria come una città, un palazzo, dove ogni cosa aveva un suo posto «fisico». La retorica, in questo l’avvocato Cicerone fu un grande maestro, insegnava a dare un nome e un volto alle idee. Consigliava, senza inventare nulla, ma rendendo l’idea ben chiara, consigliava dunque di immaginarsi dentro una stanza, oppure di percorrere una strada nota. Se si fosse riusciti a dare alle cose l’ordine dei pensieri, il discorso sarebbe stato ordinato e convincente.
Mettiamo in pratica l’esercizio, senza fatica utilizziamo l’ambiente dove ci troviamo. È la nostra stanza, lo studio, il giardino, oppure la via che percorriamo per andare in ufficio, la solita. Poi mettiamo insieme alcune idee. Per esempio, vogliamo convincere la nonna dell’utilità di avere un salvavita, un apparecchietto che permette di dare l’allarme per problemi di salute o di delinquenza, entra un ladro, qualcuno forza la porta, arriva un infarto e chiamiamo i soccorsi.
Non è difficile: cara nonna – ecco la pendola amata dal defunto nonno; non possiamo vivere col terrore che ti accada qualcosa di brutto – per esempio un malvivente che entra da questo balcone; siamo tutti molto impegnati – come dimostra questo tavolo pieno di carte, fossero anche dei «gratta e vinci»; facci questo piacere – buono come il rosolio che è sul tavolo; accetta di aver bisogno di aiuto – guarda il gatto che cerca attenzioni.
Facile, no? Per quanto distratti, possiamo serenamente parlare alla nonna. L’esempio però non è calzante, troppo facile pensare a «cose» che somigliano a ciò che si vuole dire. La retorica imponeva invece un balzo verso l’astrazione. Ogni idea, ma anche ogni interiezione, ogni emozione, poteva essere associata a «cose» che occupano spazio fisico, aiutando quello mentale.
Cara nonna, e penso al cancello della tua villetta (non è quella stordita della nonna di Cappuccetto Rosso); abbiamo paura per te, una paura diffusa come le pietre del vialetto; i cattivi esistono, gli sfruttatori di nonne, e questo vorrei associarlo alla casella della posta, alla fine del vialetto. Siamo impegnati dalle richieste della vita, lavoro, famiglia, e questo pensiero lo associo al lampione, non c’entra nulla, ma mi aiuterà a ricordare.
Cara nonna, non ci far preoccupare, questo lo collego alla porta di casa, perché viene dopo il lampione, senza altri motivi. Immaginiamo questo gioco applicato alla difesa o all’accusa nei processi. Oppure a qualunque genere di discorso astratto che si voglia ricordare. Non esiste idea senza una sua visualizzazione.
I platonici erano disturbati da questa incapacità dell’umano per l’astrazione pura. Gli schiavi della Repubblica, anche se liberati dalle catene della caverna, potranno raggiungere e guardare il vero solo passando attraverso questa strana, ma geniale soluzione. In cima alla buia caverna, un fuoco gioca con oggetti portati in spalle da uomini o insomma da personaggi che hanno solo questa funzione, avere sulle spalle oggetti la cui ombra raggiunge lontanamente gli schiavi incatenati laggiù, si fa più evidente a chi osa liberarsi dalle catene e faticosamente risalire. Verso la luce? No, non subito almeno, verso il sole. Piuttosto verso le ombre di questi oggetti. Spesso questo, diciamo così, intermezzo, disturba l’esegesi.
Invece, per quanto stiamo dicendo, è importante ricordare che la nostra conoscenza e la memoria di questa ha bisogno di «cose». Andrà come andrà, questo mondo virtuale, ma è chiara la necessità di vedere, toccare, assaggiare per ricordare. Almeno per noi antichi, auguri a chi non potrà usare cose per pensare, perché, le news, l’agenda, le mail, sono abbastanza uguali tra loro. Poi se qualcuno nel web trova i miei libri, potrebbero essere utili.